Regia di Sam Raimi vedi scheda film
Sorprendentemente... medio. Ovvero, né ciofeca inguardabile (No Way Home style, per capirsi) né capolavoro imperdibile (Cavaliere Oscuro like, sempre per intendersi). Data la qualità a dir poco infima degli ultimi filmetti Marvel, uno dei “migliori”. Al che qualcuno potrebbe obiettare: “e va beh, dai, ci vuole poco!” Difficile negarlo.
Tuttavia, questo secondo Doctor Strange (al netto dell’irritante pretesa che il pubblico abbia visto WandaVision) si lascia guardare, non ammorba a livelli intollerabili, riduce le battutine idiote (comunque a quanto pare ineliminabili) e costruisce un paio di scene che a livello visivo sono quanto di migliore sia stato prodotto dalla Casa delle Idee nell’ultimo decennio.
Ovvio, la trama si fatica a definirla intrigante e innovativa, ma la bizzarria di talune trovate permette – per buona parte – di soprassedervi, anche se fino ad un certo punto (e, difatti, dal gradino di una risicata sufficienza di sicuro il film non si eleva).
Due, in ogni caso, le sequenze che costituiscono probabilmente l’apice dell’opera: quella del primo viaggio tra universi (una vera fantasmagoria di eccellenti effetti digitali) e quella della lotta a suon di note musicali per così dire “pungenti” tra Strange e il suo “doppio”.
Per il resto, a onor del vero, la regia di Raimi non è che spicchi poi così tanto (almeno che non si vogliano prendere per più dei piccoli vezzi che sono l’inclusione auto-citazionista di Campbell e quel paio di inserti “horror”) e Cumberbatch appare alquanto svogliato nel ruolo, forse anche a causa di certi dialoghi che gli è toccato proferire tra No Way Home e il presente film.
A questo proposito, tra la folta compagine di comprimari, ad uscirne meglio di tutti è probabilmente la McAdams, mentre la giovincella Gomez risulta alquanto acerba (e spesso si limita semplicemente a guardarsi intorno basita) e la Olsen non abbastanza convinta e minacciosa. Fotografia e montaggio fanno il loro, e in particolare il secondo riesce abbastanza bene a convogliare il delirio di personaggi, fondali e atmosfere in un qualcosa di comprensibile, unitario e per nulla noioso.
Ma, è inutile girarci intorno, a risaltare davvero nel corso della proiezione sono gli effetti digitali allo stato dell’arte: dettagliatissimi, sovente creativi (in un paio di casi si potrebbe persino azzardare originali), esagerati, creanti le ormai “consuete” scenografie imponenti e prospettive assurdissime sconvolgenti qualunque legge della fisica.
Come detto: visivamente questo Doctor Strange è superiore a tutti i recenti film di supereroi, soprattutto in virtù delle fantasticherie rese possibili dalla “cornice multi-universale”.
Alcuni critici americani l’hanno contrapposto ad Everything Everywhere All At Once, lamentandone la mancanza di ingegnosità rispetto a quest’ultimo. Tuttavia, pure il film con Michelle Yeoh a livello di trama lascia abbastanza il tempo che trova (essendo, all’osso, la solita storiella di accettazione della diversità e di comprensione genitori-figli) e si salva solo ed esclusivamente per via delle svariate trovate scenografico-visuali presenti lungo la sua (a tratti estenuante) durata.
Pertanto, in questo senso, i due film risultano più simili di quanto si potrebbe credere e rivelano una volta in più le potenzialità del “pretesto” multiverso, di nuovo “scusa” perfetta per creare immagini e quando va bene pure sceneggiature e trame almeno un poco più innovative della media hollywoodiana, delle piroette alla Fast and Furious, delle scazzottate alla John Wick o delle manfrine alla Eternals.
Ciò detto, giova ripetere come Doctor Strange in the Multiverse of Madness non sia affatto un grande opera di genere, al massimo uno dei più “potabili” film d’intrattenimento spicciolo a tematica superomistica degli ultimi cinque anni, insieme a The Suicide Squad, I guardiani della galassia 2 e a Spider-Man: Un nuovo universo.
Visto che quasi certamente di qui a qualche tempo finiranno per logorare – alla ricerca di facili incassi – anche la trovata del Multiverso, per ora teniamoci questo discreto filmetto, poco memorabile, senza dubbio, ma piuttosto riuscito nel suo, alla larga da fanservice di bassa lega, eccesso di dialoghi imbecilli, effetti speciali onnipresenti ma stravisti e stantii.
Rimangono, purtroppo, la regia costretta dalle gabbie della produzione, la sceneggiatura da dimenticare (nonostante sia stata scritta dall'autore di quella genialata di The Old Man and The Seat, 2° episodio della 4a stagione di Rick and Morty) e le interpretazioni non sempre credibili. E, pazienza, al 6 politico ci arriviamo, ma senza grandi aspettative per il futuro.
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