Regia di Domee Shi vedi scheda film
La sensazione è che la Pixar stia ripetendo, quarant'anni dopo, la stessa parabola discendente dei lungometraggi Disney, lo stesso grafico che punta sempre più in basso. Da "Biancaneve e i sette nani" del 1937 fino alla fine degli anni sessanta, tutti o quasi i film Disney sono assurti a status di classici, e verranno ancora ammirati da qui a cent'anni, in barba alla tecnologia. In seguito, con qualche rara eccezione, è cominciato il lento declino, se non negli incassi, nella popolarità e nella considerazione, al di là delle statuette che si devono dividere i pochi lungometraggi d'animazione che vengono prodotti. Allo stesso modo, dopo aver colpito l'immaginazione collettiva con "Toy Story", "A Bug's Life", "Alla Ricerca Di Nemo", "Ratatouille" e "Up", anche questi classici senza tempo, la Pixar sforna un film calato nel tempo che stiamo vivendo, ma che rischia di puzzare di marcio nel giro di pochissimo tempo. Far passare per valori dei disvalori come la stupidità adolescenziale, le boy band e della musica orribile ricorda il percorso compiuto dalla televisione, che dopo aver proposto contenuti di altissima qualità è andata incontro ai gusti più beceri del peggior pubblico, anticipando e addirittura accelerando il processo di decadimento morale che stiamo osservando tutto attorno a noi. E' inoltre evidente che la Pixar sta virando verso l'estetica dei peggiori cartoni giapponesi, se non ancora nei ridicoli occhioni enormi, in quel ghigno mefistofelico che assumono i personaggi quando ridono, segno decisamente inquietante. Al di là delle immancabili trovate che possono strappare qualche timido sorriso, soggetto, regia, sceneggiatura non suscitano plauso, la storia risulta disturbante ed ansiogena, caratteristiche che non dovrebbero appartenere a prodotti destinati ai bambini. La situazione ricorda quanto è successo nell'industria discografica nel corso dei decenni: prima si costruivano monumenti, ora si punta al successo immediato che però dura pochissimo, e tra questo film e i classici Pixar passa la stessa differenza che c'è tra Luigi Tenco e Marco Carta. Cioè, un abisso.
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