Regia di Domee Shi vedi scheda film
Se il settore industriale è maturo le aziende che vi operano hanno varie possibilità di far fronte al rallentamento della crescita e alla riduzione dei profitti. Il primo, il più immediato, è, senza dubbio, quello di conquistare mercati in cui l'offerta è limitata. Questa strategia vale anche per l'industria dello spettacolo e gli americani, che del business sono campioni, lo sanno bene. Basti pensare che, agli albori, il cinema era roba per bianchi mentre, ora, gli studios danno vita a progetti che possano catturare l'attenzione della minoranza afroamericana e dei tanti immigrati recenti. La conquista di nuovi segmenti è avvenuta all'interno del tradizionale mercato casalingo ma negli ultimi decenni Hollywood ha guardato ad oriente, puntando gli occhi sulla Cina come possibile via di fuga ad un mercato sempre più asfittico e a profitti sempre più bassi, spesso causati da costi di produzione insostenibili per un unico mercato. Un colosso di 6 miliardi di possibili utenti, per lo più giovani, molti dei quali in grado di spendere il reddito percepito in attrazioni: ecco come si presentava la Cina agli occhi degli Studios qualche anno fa quando iniziò a maturare la strategia di espansione di Hollywood. Il paese di Mao, un mercato per certi versi maturo, chiedeva servizi anziché beni di prima necessità. Il divertimento al posto del riso. Detto, fatto. Nei decenni successivi alla scoperta del Santo Graal si è assistito ad una progressiva distribuzione di film americani sul mercato cinese nonostante qualche scivolone e qualche film rimandato al mittente per lesa maestà. Proibite le tre T (Tienanmen, Taiwan e Tibet), a cui aggiungerei i diritti civili. Caduti sotto i colpi della autorità film come "Sette anni in Tibet"e "L'angolo rosso" gli americani hanno imparato che per distribuire in Cina serviva evitare la censura del regime. Per decenni autoregolamentati dal codice Heyes, che scorre ancora nelle vene dei produttori nonostante la scomparsa negli anni '60, gli studios iniziarono ad applicare l'auto-censura per passare le forche caudine delle autorità asiatiche. Poiché l'industria autoctona era piccola e incapace di fornire al pubblico lo spettacolo richiesto gli USA poterono gestire le proprie uscite sul suolo cinese arrotondando i guadagni casalinghi o, addirittura, salvando capre e cavoli laddove alcune produzioni erano state degli incredibili flop tra i confini amici. Con lo svilupparsi di un mercato cinematografico nazional-popolare cinese gli americani hanno, infine, imparato a produrre blockbuster vendibili sul mercato orientale, appositamente pensati per loro, onde ridurre il rischio d'esclusione dei film in entrata per mano delle autorità locali. Una strategia adottata anche da Walt Disney Company che negli ultimi tempi si è dedicata, anima e corpo, a progetti ben precisi con attori di origine orientale e avventure ambientate in terra asiatica. "Mulan" (2020), "Raya e l'ultimo drago" (2021), "Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli" (2021) sono il risultato di una repentina dedizione alla causa cinese iniziata con il lontano "Mulan" disegnato con le matite nel 1998. L'ultimo capitolo di questa corsa ad accaparrarsi i favori del regime e del suo popolo (probabilmente l'ultimo davvero) è il film Pixar "Red" uscito da pochi giorni sulla piattaforma Disney+ ma che in origine era stato pensato per le sale e per una situazione diversa rispetto ai mutevoli scenari odierni. "Red" è diretto dalla regista cino-canadese Domee Shi ed è ambientato principalmente nella ChinaTown di Toronto. La protagonista è la tredicenne Meilin, studentessa perfetta, figlia devota alle prese con la pubertà e con una madre troppo invasiva con la quale condivide la gestione del tempio e una ferrea disciplina del rispetto per gli avi e per il lavoro. Nel tempio, infatti, la ragazzina si dedica al culto degli antenati e di innumerevoli problemi pratici come l'intrattenimento dei fedeli. È la venerabile Sun Yee a ricevere maggior gratificazione dalle preghiere di madre e figlia. L'antenata aveva ricevuto dal panda rosso il potere di difendere la casata e il villaggio dalla guerra e lasciò in eredità, alle donne della famiglia, quanto ricevuto dal panda. Il potere di Sun Yee investe Meilin come la scarica di ormoni destinata a cambiare la vita dei teenager in preda alla pubertà mettendo a soqquadro l'ordinata routine di tutta la famiglia.
Il rispetto delle millenarie tradizioni religiose, la divinizzazione degli antenati e il profondo ossequio per l'autorità dei genitori sono tematiche molto care al gigante asiatico e vengono trattate da Domee Shi con delicatezza. La mancanza, in mitologia, di un culto del panda rosso consente alla regista di affrontare il tema della sua "reincarnazione" nelle donne di famiglia senza che ciò comporti una mancanza di rispetto verso la spiritualità Han. L'ossequio verso l'universo cinese va di pari passo con la rappresentazione dei volti, delle acconciature e dei lineamenti orientali: un must già notato in "Encanto" che dell'adesione del tratto alle linee amerinde faceva vanto. Meilin è piccolina, corvina, ha gli occhi scuri e porta la più classica pettinatura per i capelli lisci e setosi delle donne orientali mentre la madre e le zie hanno il portamento dell'educazione asiatica.
Tuttavia la regista, che è anche co-sceneggiaterice del film e vive in un paese occidentale, ha saputo coniugare la cultura del suo paese con lo spirito individualistico occidentale ed il meltin pop delle grandi città. Meilin non desidera rinunciare alle proprie tradizioni e alla propria cultura perciò cerca un equilibrio tra la protetta comunità cinese di Toronto e il mondo bizzarro che sta fuori al quale si sente legata grazie all'amicizia, alla scuola e alla musica. Quall'equilibrio, stigmatizzato con fierezza, dalle donne della famiglia, è "la volpe rossa", ossia quel lato oscuro del carattere, iperbolico, violento, incontrollabile che sedato rende la persona mite ma anche rinunciataria, e, perciò, incapace di celebrare il proprio io ponendolo al di sopra della comunità. Domee Shi doma il suo panda rosso mettendo in scena l'equilibrio tra Yin e Yang miscelando abilmente momenti di pathos e situazioni estremamente divertenti che alludono a chiare lettere al passaggio iniziatico di ogni bambina che diventi donna. Ormoni, ciclo, pubertà, improvviso appetito sessuale sono fuoriosi come la zampata dell'animale che occupa la stanza da letto di Meilin e si impossessa dei suoi spazi. Il film di Pixar, tuttavia, va oltre alla condiscendente necessità del prodotture di espandere i propri mercati, supportando l'idea di un matriarcato tosto che mette in ombra gli uomini della famiglia. Ancor più audace l'urlo dell'amico di Meilin che al concerto grida "ti amo" al suo idolo canoro. Una scena che se mai il film venga distribuito oltre il Pacifico sarà tagliata e bollata come irrispettosa del comune sentire.
In sintesi "Turning Red" è un film esilarante, irriverente, pervaso da un simbolismo magico. Da consigliare ad ogni adolescente che deve imparare ad accettare le proprie pulsioni e quegli squilibri ormonali che provocano gli sbalzi d'umore tipici di un'età intermedia in cui ogni esperienza è importante per formare il proprio punto di vista. Utile ai genitori restii, durante l'adolescenza dei figli, a sciogliere il cordone ombelicale che li lega alla prole.
Peccato che il film rimanga confinato allo streaming e soprattutto non arrivi (almeno per ora) a Pechino. Probabilmente farebbe bene anche ai cinesi, benché una ragazzina così effervescente e decisa possa creare qualche imbarazzo ad un regime quanto mai desideroso di imporre il pensiero unico e conservatore. Peccato. Ma ormai Xi Jinping ha già il suo enorme Panda Rosso, un'industria cinematografica aggressiva e spettacolare che ha saputo sostituirsi a quella americana. Ad Hollywood restano, probabilmente, i soli cinesi emigrati.
Disney+
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