Regia di Marco Pontecorvo vedi scheda film
Il 13 giugno 1981 è il giorno in cui si spensero le speranze di una nazione, appesa per tre lunghissimi giorni a una diretta televisiva durata 60 ore per seguire la vicenda di Alfredo Rampi, il bambino cardiopatico di 6 anni che - a Vermicino – precipitò in un pozzo artesiano abusivo. Tra i volontari disposti a salvarlo calandosi nel pozzo arrivarono nani, uomini segaligni, pompieri, ragazzetti di buona volontà. A Vermicino si presentò – a sorpresa – anche il Presidente della Repubblica Pertini (Dapporto).
Gli storici della televisione come Aldo Grasso e Peppino Ortoleva indicano quella data come uno spartiacque: fu la nascita - in Italia - della spettacolarizzazione del dolore, la grande cerimonia mediatica che, da allora, non ci avrebbe più abbandonato.
Marco Pontecorvo - che all'attivo ha soltanto Pa-ra-da e Tempo instabile con probabili schiarite (più tanta televisione) - ricostruisce con una miniserie quel trauma collettivo. La riproduzione è persino filologica e fa emergere tutto il bene e tutto il male legati alla vicenda. Il bene fu la generosità oblativa dei tanti volontari, ma anche il carattere forte di una madre (Foglietta, sempre sopra le righe) che, dopo la morte del figlio, riuscì a ottenere da Pertini il varo di un Ministero della Protezione Civile. Nel male, innanzitutto, la superficialità con cui vennero condotte le operazioni dai Vigili del fuoco, sia nella prima fase (quando una tavoletta di legno rese ancora più difficoltose le operazioni), tanto nella seconda, quando Pastorelli (Acquaroli), il comandante dei vigili del fuoco, ordinò la costruzione di un pozzo parallelo per poter recuperare il piccolo, senza ascoltare il parere di una geologa (Romani) – che avvertiva della difficoltà dell’operazione – né affidarsi agli speleologi. Ma il peggio furono le reazioni di condanna a una madre colta a mangiare un ghiacciolo dopo interminabili ore di pena, o il commerciante che lucra sulla tragedia facendo grossi affari con l’arrivo di torme di curiosi. Insomma, davvero, come recita il sottotitolo, “una storia italiana”, con i vizi e le virtù tipiche del nostro ethos.
Cinematograficamente il film è scolastico ma fedele ai fatti. I personaggi – con la sola eccezione di Pastorelli – sono monodimensionali e il cast non è all’altezza della situazione, ancora una volta con la sola eccezione di Francesco Acquaroli.
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