Regia di Gibba vedi scheda film
Nell'Italia dell'immediato dopoguerra, un orfanello vende sigarette di contrabbando. Il suo unico amico è un cagnolino, Matteo, che lo segue dappertutto. Sfuggito fortunosamente a un poliziotto che lo inseguiva, il piccolo si rifugia nella sua baracca e fa un sogno destinato a cambiare la sua vita.
Esempio più unico che raro di neorealismo d'animazione, questo L'ultimo sciuscià è il primo cortometraggio firmato da Francesco Maurizio Guido, in arte Gibba, sceneggiatore e regista del lavoro. Aperta parentesi: si tratta di un'opera di una tristezza straziante, con un finale inatteso al limite del gratuito, ma di sicuro coraggioso – chiusa parentesi. Gibba, classe 1924, è ancora alle prime armi e, vuoi anche per la scarsità di mezzi a disposizione, il risultato appare un po' ingenuo e non molto raffinato nell'estetica e nella tecnica; eppure la storia è narrata in modo convincente, il colpo di scena conclusivo funziona a dovere e gli argomenti di fondo sono puntali (al passo con i tempi, insomma) e di una potenza notevole. Gli orfani di guerra erano un problema ben sentito nel 1946 in cui L'ultimo sciuscià viene pubblicato, così come il contrabbando di sigarette o il randagismo canino. Oggi può colpire il fatto che il piccolo protagonista, venditore di sigarette, venga denominato sciuscià (vale a dire lustrascarpe, shoeshiner), ma ai tempi il termine valeva per qualsiasi ragazzino che facesse lavoretti di fortuna per strada. Poco oltre la dozzina di minuti di durata. 7/10.
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