Regia di Leigh Janiak vedi scheda film
Senza guizzi, ma con molti schizzi (di sangue), questa seconda parte della trilogia è un giro di boa che mantiene, né più né meno com’e quanto il precedente, quel poco che promette.
Cambia il co-sceneggiatore [al fianco della regista Leigh Janiak ("HoneyMoon") s’insedia il semi-esordiente Zak Olkewicz, prendendo il posto di Phil Graziadei, che comunque firma con entrambi il soggetto, traendolo come sempre dalla serie letteraria originale di R.L. Stine] ma, a parte alcuni spiegoni («spiegone»: termine tecnico è) di raccordo all’inizio, durante il passaggio a ritroso dal ‘94 al ‘78, una volta che la storia sposta la propria narrazione al campeggio estivo, ecco che il film ingrana la giusta marcia (la terza su sei, più la retro, con qualche tocco sull’acceleratore cambiando in quarta) e mantiene ciò che promette, suggellando il patto implicito con lo spettatore che s’appresta ad assistere ad un fantasy-horror (la parte «magico-stregonesca» è tutto sommato «coerente» e non del tutto fumata come invece accade col pur graziosamente apprezzabile «Chilling Adventures of Sabrina», e quella orrorifica è pienamente e compiutamente slasher, e contiene anche uno dei tassi di uccisioni di bambini e ragazzini più alti, credo, di tutto il cinema di sempre) young-adult (VM14).
Una cosa da segnalare, evidenziare e sottolineare c’è: come in tutti i film di questo genere, le grandguignolesche uccisioni possono assumere un portato di eterogenee «plusvalenze» di significato derivato a corollario: emozionanti, desensibilizzanti, commoventi, terrificanti, divertenti (in purezza, o come metodo - più o meno consapevole da parte degli autori, e/o più o meno inconsapevole dal PdV degli spettatori - di affrontare e gestire il disagio della situazione), ripugnanti/respingenti, etc..., ma in questo caso, più che in altri dello stesso tenore, e mi riferisco in particolare – e NON è uno SPOILER – alla mattanza finale, la Sessualizzazione di un Atto Violento raggiunge limiti pericolosi/coraggiosi: le chiare, evidenti e nette connotazioni sessuali associate a - e generate da - ogni colpo (di ascia, stiletto, rasoio o quel che è) inferto, aka, da ogni spinta penetrante, con controcampo del volto delle vittime durante il processo di (piccola) morte, è quanto di più pronografico (in un film “casto”, che si spinge al massimo verso un retro-fullfrontal maschile) possa esistere. Se è una cosa pensata, voluta e cercata: se ne può parlare. Se invece, all'opposto contrario, si tratta di un automatismo dell’industria cinematografica: se ne deve parlare…
La fotografia e il montaggio sono sempre, rispettivamente, opera di Caleb Heymann e Rachel Goodlett Katz, mentre per le musiche questa volta a Marco Beltrami si affianca Brandon Roberts. Invece per le canzoni della colonna sonora non originale si passa da un ottimo uso di "the Man Who Sold the World" dei Nirvana nel prologo anni '90 per giungere poi definitivamente nei '70 con the Velvet Underground, David Bowie, Cat Stevens, Neil Diamond, etc..., e finendo in glorioso contrasto di sentimenti ed emozioni con the Runaways e la loro "Cherry Bomb".
Il cast settantottino si arricchisce di tre ottimi nomi quali l’oramai giustamente affermata Sadie Sink (“Stranger Things”, e prossimamente al fianco di un obeso per l’occasione Brendan Fraser nel - per l’appunto - “the Whale” di Darren Aronofsky dall’omonima pièce teatrale di Samuel D. Hunter), Emily Rudd (indimenticabile co-protagonista con Amanda Peet del finale di “Expectation”, il 4° ep. della 1a stag. di “the Romanoffs”, e prossimamente in “MoonShot”), Ryan Simpkins (carriera iniziata da giovanissima - “Revolutionary Road”, “A Single Man”, “Twixt”, “Arcadia” e “LadyWorld” - e qui molto brava), McCabe Sly,e Ted Sutherland, Sam Brooks, Drew Scheid, etc…
Per la parte adulta: Gillian Jacobs compare anche in video, nel prologo ambientato nel 1994 (ché in fondo questo 1978 è tutto un lungo flashback) e nell’epilogo che si sposta verso il 1666, quando nell’episodio precedente, a parte la scena di preview riassuntiva pre-post-credits, era solo una voce.
Senza guizzi, ma con molti schizzi (di sangue), questa seconda parte della trilogia è un giro di boa che mantiene, né più né meno com’e quanto il precedente capitolo, quel poco che promette.
* * * ¼ (½) - 6½ (6.75)
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