Regia di Jens Sjögren vedi scheda film
La storia del giovane Zlatan Ibrahimovic, ragazzino figlio di immigrati cresciuto in Svezia tra difficoltà economiche e tensioni razziste. Zlatan si caccia continuamente nei guai fino a quando trova nel calcio la sua unica speranza di riscatto sociale e morale. Ma per farcela dovrà abbassare la cresta e imparare a chiedere scusa.
Tratto dall'autobiografia Io, Ibra (scritta insieme a David Lagercrantz) con una sceneggiatura firmata da Jakob Beckmann, questo biopic sul calciatore Zlatan Ibrahimovic gode di tutti i piaceri e soffre tutti i difetti tipici dei biopic di questi anni. Musiche enfatiche, momenti di pathos anche dove non sarebbero necessari, un montaggio che più che incrociato andrebbe definito incasinato (Ibra bambino, adolescente e adulto si incontrano e scontrano sovente, generando un bel po' di confusione nello spettatore); una caratterizzazione spigolosa per tutti i personaggi, con alcune scelte a dir poco razziste (il padre che parla e si atteggia come uno zingaro dei film di Guy Ritchie, o Moggi pari pari a Marlon Brando nel Padrino) e via dicendo: la formula di Zlatan è abbastanza prevedibile, così come è prevedibile che il lavoro funzioni dove deve funzionare – la tensione, la parte fiabesca e la morale relativa: il bene trionfa sempre sul male, se si è disposti al sacrificio, bla bla bla – e fallisca miseramente dove invece risulta più fragile. Granit Rushiti e il piccolo Dominic Andersson Bajraktati interpretano (bene) il protagonista centrale; il regista Jens Sjogren viene da una manciata di lavori televisivi, e l'impostazione di questa pellicola bene o male ricalca quella dei prodotti per il piccolo schermo, e da una sola regia per il cinema: la commedia Lycka till och ta hand om varandra (Buona fortuna e prendetevi cura l'uno dell'altro), del 2012. 3/10.
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