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They Talk

Regia di Giorgio Bruno vedi scheda film

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La recensione su They Talk

di Furetto60
4 stelle

Horror mediocre. Parte bene, ma poi s'inabissa. Comunque discreto l'apporto tecnico e le location

Alex alias Jonathan Tufvesson, tecnico del suono si porta con la sua troupe nella spettrale cittadina di Twin Lakes per girare un documentario. Durante le riprese  però, il giovane registra casualmente dei suoni inquietanti e inspiegabili; sembrano sinistre voci provenienti da chissà dove, forse dall'aldilà, parole confuse, ma che cercano di avvisarlo di un possibile pericolo. L’evento gli riporta alla mente episodi vissuti da ragazzino in un orfanotrofio, attraverso dei flashback anche noi ne veniamo a conoscenza, Mentre cerca aiuto da un esperto giapponese del paranormale, che come da copione classico, prima declina sgarbatamente la proposta, per poi accettare il confronto e metterlo sulla strada di una possibile comprensione, a seguire incontra proprio la sua vecchia amica d'infanzia, la misteriosa Amanda, una ragazza con la quale condivide un oscuro e “illuminante” segreto. L’incontro è foriero di grossi guai, infatti si scatena l’inferno attorno a lui e tutto ciò che accade pare farlo scivolare sull’orlo della follia. Le oscure presenze si manifestano dentro le onde sonore, ogni interferenza nasconde una voce, e poi un maleficio; un’entità irrequieta, uno spirito indomito che pretende un tributo di sangue si trova in quei paraggi, Nonostante il film sia stato girato in lingua inglese e sia ambientato nella fittizia cittadina di Twin Lakes, in verità They Talk è stato prodotto in Italia e girato in Calabria Il regista ha scelto colori  freddi in sintonia con le location, con il  paesaggio nevoso, tra i boschi e i laghi della Sila, un panorama ideale per trasmettere un forte senso di straniamento. La linea narrativa segue la scaletta del documentario, sulle orme di un massacro compiuto durante la guerra e il fantasma di una misteriosa suora bruciata viva in quanto spia del nemico, la cui anima vaga alla ricerca di una agognata vendetta.
 Il focus della regia si concentra sul suono captato prima per caso, ma che poi diventa un refrain che  incalza e tormenta volutamente e ossessivamente Alex, depositario di un rebus, perno della vicenda macabra e spesso seguito dalla telecamera nelle sue “performance erotiche,” di cui non se ne capisce il senso ai fini del racconto. Altri elementi noir sono rintracciabili nella tormentata infanzia del protagonista. Giorgio Bruno, giunto al quarto lungometraggio gira un horror, poco originale, seguendo uno schema classico; A fronte  di alcune buone idee di partenza, una discreta realizzazione tecnica, un buon impianto scenografico, anche negli spettrali interni dell'orfanotrofio e una fotografia funzionale all’atmosfera di cupezza e inquietudine e di  tensione crescente, si rileva di contro un disordinato processo narrativo, con uno script asfittico e zeppo di incongruenze, che non riesce a gestire il doppio binario temporale: il procedere degli eventi è poco naturale e poco credibile, con dialoghi  da dimenticare e personaggi poco approfonditi; si accumulano troppe  linee di racconto: la maligna suora col volto bruciato, una gravidanza foriera di oscuri presagi, l'amica misteriosa che giunge dal passato, una compagna che gli crede a intermittenza, ma fa volentieri l’amore con lui, non è la sola, l'esperto giapponese che tragicamente muore, ma continua a parlare al telefono, e la di lui moglie che blatera oscure minacce, nonché un epilogo che arriva ben sette anni dopo i fatti narrati, per diciamo, chiudere il cerchio; non aiutano le prove attoriali, o troppo sottotraccia o sopra le righe, la storia si smarrisce e l'evolversi degli eventi risulta sfilacciato.

 

 

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