Regia di Domenico Iannacone, Lorenzo Scurati vedi scheda film
Sono come noi. Siamo come loro. Tutti "diversi". Tutti capaci di essere "altro". Recitare su un palcoscenico, su un pavimento di assi di legno o di sabbia di mare, è il miglior modo per dimostrarlo.
Essere. Questa è la loro forza. Persone umiliate nella capacità di fare si riscattano sul palcoscenico, interpretando l’altro da sé. Un inno alla diversità, la quale è ovunque, dentro ciascuno di noi, basta soltanto sforzarsi di riconoscerla, e magari imparare ad amarla. Il Teatro Patologico, fondato e diretto a Roma da Dario D’Ambrosi, e gestito con la collaborazione di Francesco Giuffrè (figlio di Carlo), è molto più che una compagnia di attori “problematici”. È una straordinaria opportunità per tutti, per chi recita, per chi scrive il copione e firma la regia, per chi assiste allo spettacolo. Ad ognuno offre un’irripetibile occasione di capire, finalmente, cosa significhi non comprendere. Sentirsi persi, depressi, inabili, disadattati è un ottimo punto di partenza per iniziare l’esplorazione di un mondo interiore che il dramma e la commedia traducono in gesti, parole, canti, maschere, trucchi, costumi, per portarlo all’esterno, sotto forma di una storia che non si accontenta di lasciarsi raccontare. Questo documentario, fra testimonianze di lavoro sul campo e interviste ai protagonisti – mirabilmente condotte dal giornalista Domenico Iannacone - ci fa scoprire come il mistero sia proprio la definizione esatta di normalità: è questa a non avere uno spazio specifico nell’esperienza della vita, che è sempre strettamente personale e sfuggente, tanto sfaccettata da poter essere resa solo in parte, e indirettamente, attraverso il multicolore riflesso con cui i nostri umori salutano la luce del giorno. Mettersi in mostra, davanti al pubblico, presentando la propria stravagante verità o proponendo una mitica finzione, è, per questi uomini e donne “marginali”, il modo più naturale di recuperare il centro, quello che, come loro stessi ci dimostrano, non ha una collocazione precisa, potendosi situare in ogni anima, in ogni cuore, in ogni mente, secondo differenti lingue e prospettive, ma sempre come polo di attrazione per l’amore e il desiderio di libertà. Un’Odissea allestita in una sera d’estate, su una spiaggia del litorale ostiense, unisce le aspettative di tutti coloro che vogliano sondare il “limite” delle nostre potenzialità espressive: quelle che, pur distinguendoci in termini di accento, tonalità, coloritura, convergono, quasi miracolosamente, in un comune canale di comunicazione. Lì si mescolano prosa e poesia, cronaca e sogno, ragione e follia, come è giusto che sia quando, essendoci negata la possibilità di essere considerati i migliori, non ci resta che impegnarci per diventare i più ricchi. Ed infinitamente ricco è questo film, nella sua vivace ed appassionata indagine intorno al corposissimo, illimitato catalogo dei modi di pensarsi, nel momento in cui nessuno a noi pensa, se non per scuotere la testa e rinunciare a trovare un senso.
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