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Il signore delle formiche

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su Il signore delle formiche

di Gangs 87
6 stelle

Italia, fine anni sessanta, Aldo Braibanti è un poeta, partigiano e pensatore, entomologo specializzato in mirmecologia, da qui il soprannome che da il titolo alla pellicola, viene condannato per plagio per aver, a detta di chi lo accusava, di aver appunto plagiato un giovane ragazzo, suo studente, di cui l’uomo si era innamorato, ricambiato.

 

Il film di Gianni Amelio, utilizzando svariati salti temporali tra il presente, in cui lo svolgimento del processo è affiancato dal lavoro giornalistico (e umano) di sensibilizzazione perpetrato dal giornalista Ennio Scribani che tenta in ogni modo di dare voce al silente Braibanti, e il passato con flashback fondamentali per farci conoscere non solo gli aspetti sinceri e naturali della relazione amorosa incriminata ma anche per esplicare la personalità che contraddistingue un professore colto e animato solo da un sentimento indissolubile.

 

Mentre Braibanti affronta la gogna mediatica e legale, processato per un reato inesistente, il giovane amante spreca i suo anni migliori in strutture psichiatriche che tentano di far svanire le sue peccaminose inclinazioni attraverso il brutale utilizzo dell’elettroshock, capace solo (se così possiamo dire) di annientare quella luce posseduta dal suo sguardo vivace e giovane, senza mai nemmeno intaccare la profondità del sentimento che lo lega all’uomo amato che sosterrà sempre, senza tentennamenti.

 

Luigi Lo Cascio pone al servizio di Amelio il suo modo placido e composto di recitare, fondamentale per raccontare i fatti attraverso un punto di vista che sia il più asettico possibile, solo in minima parte condizionato dai sentimenti che restano oppressi da una cultura impeccabile che non si lascia soggiogare nemmeno dall’amore; un orgoglio eccessivo che finisce per schiacciare ogni sorta di sentimento, annientandoli a tal punto da non essere presenti per tutta la durata della pellicola che finisce per sembrare più un resoconto giuridico e politico che un intimo racconto.

 

Anche la scelta del personaggio interpretato da Elio Germano (meno convincente del collega di cui sopra), giornalista omosessuale incapace di ammetterlo e dichiararsi, caratteristica che sottolinea la già chiarissima posizione dell’Italia dell’epoca nei confronti di coloro che si identificano con una sessualità differente da quella che imporrebbe la società in cui vivono, diversa da quella che fino ad allora era definita la “normalità”.

 

Amelio si dimostra ancora una volta un narratore impeccabile ma, ancora una volta, incapace di arricchire la sua narrazione di quel cordone sentimentale che potrebbe essere il collegamento mancante tra le anime dei protagonisti che invece si ritrovano palesemente orfani di quelle emozioni di cui il film è privo dall’inizio alla fine.

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