Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: IL SIGNORE DELLE FORMICHE
Gianni Amelio torna a concorrere al Festival di Venezia, dove vinse un Leone d’Oro con il suo Così Ridevano che tanto piacque al Presidente di Giuria Ettore Scola, con un biopic di un personaggio e soprattutto di un caso che fece scalpore all’epoca dei fatti e che solo di recente è ritornato alla ribalta grazie ad un documentario e soprattutto ad un certo clima che si respira intorno a tematiche legate all’omosessualità e all’omofobia.
Il Signore delle Formiche è un titolo perfetto e che inquadra al meglio il chi è Aldo Braibanti. Un personaggio che è un sacco di cose forse un po’ troppe. È sia un poeta che drammaturgo, è partigiano che ha combattuto i fascisti veri non quelli che si nascondono nelle idee nelle coscienze dell’Italia dei fine anni ’60 ma soprattutto è uno studioso dei comportamenti delle formiche, un animale che incarna in sé i veri ideali di condivisione che sono presenti negli ideali marxisti.
È un uomo che grazie alla sua cultura e al suo sapere riesce ad ammaliare i giovani che frequentano il suo circolo culturale, la forza delle parole e il suo corretto uso sono un qualcosa che riesce ad affascinare qualsiasi persona.
Nel caso specifico il giovane Ettore Tagliaferro, un ragazzo di 23 anni che si innamora dell’aspetto più bello e puro che l’amore può regalare e che fugge dalla famiglia e dall’Emilia per vivere il suo amore appassionato verso questo uomo più maturo e carismatico andando a vivere con lui a Roma.
Molto bella e significativa la scena della festa mondana per il compleanno del migliore amico di Braibanti nella quale il giovane pupillo viene a contatto con l’aspetto più folkloristico e provocatorio dell’omosessualità facendo dire al suo mentore (interpretato da un perfetto Luigi Lo Cascio) “Io non sono come loro, ma sono anche come loro”.
Gianni Amelio sceglie di raccontare la storia attraverso 3 salti temporali ben definiti quasi non coerenti tra loro dove vengono delineati i fatti, gli antefatti (ossia il laboratorio artistico dove tutto ebbe inizio) e il drammatico epilogo.
Il film sia apre con tutti i protagonisti alla Festa dell’Unità, in un momento di serenità e felicità.
Dove l’amore è visto da lontano dal giornalista Ennio mentre Aldo e Ettore si scambiano parole d’amore sotto forma di poesie e sguardi misto a sorrisi che non potevano presagire quello che sarebbe poi successo.
La famiglia del giovane lo preleva con la forza e lo ricovera in un ospedale per curare quella brutta malattia chiamata omosessualità a colpi di elettroshock mentre Aldo Braibanti verrà arrestato e processato per il reato di Plagio.
Come avvenne già per Hammamet, Amelio mescola il reale con il simbolico.
Solo Aldo Braibanti è vero sia nel nome, nel cognome e soprattutto nel martirio che segui il suo processo.
Il resto è rivisto e riscritto dagli occhi e dal sentimento del regista, partendo dal dare una nuova identità a Giovanni Sanfratello ribattezzandolo Ettore e inserendo nel contesto storico della vicenda due figure che sono gli alter ego del regista: Ennio Scribani (non un cognome a caso) giornalista tenace e tignoso dell’Unità, dell’organo di stampa del Grande Partito Comunista Italiano e sua cugina Graziella simbolo delle donne che combatteranno per i veri ideali e per i diritti delle persone piuttosto che per i fatti del Vietnam.
Gianni Amelio trasforma questo caso di grande ingiustizia sociale in un vero e proprio film politico che però tende ad un certo punto a far deragliare la struttura del film stesso, il Signore delle Formiche diventa un J’accuse contro l’Italia ma soprattutto contro il PCI e i gli ideali su cui si fonda, che rappresenta l’altra faccia della medaglia dell’omofobia
Ennio, interpretato con i giri giusti da Elio Germano, rappresenta il grido di dolore dello stesso Gianni Amelio che ha nascosto fino ad un certo punto della sua vita e la sua carriera la propria omosessualità. In quel primo piano di Emma Bonino c’è tutta la sua rabbia nell’evidenziare il ruolo dei Radicali sia nel Processo Braibanti che nell’abolizione del reato di Plagio.
Nonostante questa chiave di lettura che tira un po’ il freno a mano l’aspetto emotivo del film, Gianni Amelio ci regala almeno un paio di scene di grande cinema come l’interrogatorio di Ettore che viene visto e raccontato solamente dai primi piani del bravissimo Leonardo Maltese (le voci sono tutte fuori e il tribunale è tutto sfuocato ai margini) e l’addio finale di Aldo che cede la sua poesia all’amato giovane che non vedrà mai più nella sua vita.
Voto 7
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