Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Venezia 79. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Perché tanto interesse per le formiche chiede il giudice allo scrittore e filosofo durante l'udienza. Perché la conoscenza della loro organizzazione sociale mi ha permesso di comprendere con maggior chiarezza la nostra società. Arrivò ad amare conclusioni Aldo Braibanti dallo studio comparato tra la collettività umana e quella delle formiche. Così come aveva conservato gelosamente dentro di sé lo sperma dei numerosi maschi con cui si era accoppiata altrettanto gelosamente la Regina avrebbe protetto le figlie uscite dalle sue uova, quelle stesse che avrebbero formato l'alveare, un sistema complesso, collettivo e specializzato. Cos'avrà pensato Braibanti al cospetto di quegli insetti che amava tanto e che muovevano insieme per evitare che un solo esemplare si perdesse? E che dire dei due stomaci della formica, uno predisposto a sopperire al proprio sostentamento, l'altro pensato per alimentare le compagne? Avrà sentenziato Braibanti che la società degli uomini è costruita sull'egoismo del singolo che assai raramente ha a cuore il bene della collettività. E se il singolo non si spende per il bene comune nemmeno le istituzioni, che del collettivo sono emanazione, contribuiscono alla salvaguardia dei diritti individuali. Avrà pensato Braibanti di essere come una formica accidentalmente dispersa, uscita dalla zona di controllo delle compagne, rimasta senza l'aiuto necessario per ritrovare la via del formicaio.
Aldo Braibanti fu filosofo, scrittore, maestro e come la storia ci insegna fu processato per il reato di plagio, per aver circuito un giovane uomo, approfittando di carisma e posizione. Se lo voleva portare a letto. Quale abominio. Un viaggetto a San Giovanni Rotondo da Padre Pio avrebbe fatto bene a quel depravato di un invertito. Fu processato per plagio secondo una legge dell'epoca fascista, mai veramente applicata, e fu condannato, il primo e l'unico per tale reato, a nove anni di detenzione, poi sei in appello ed infine scarcerato per buona condotta dopo due di galera in virtù del suo passato di partigiano. Quelli che combattevo in guerra erano fascisti, nemici reali dice Braibanti. Che senso ha difendersi e lottare, ora, contro un nemico invisibile?
Braibanti fu processato per plagio perché non si poteva processarlo per omosessualità: un termine nemmeno concepito dal codice Rocco. Parlare di omosessualità voleva dire riconoscerne l'esistenza ma nell'Italia maschia e virile del fascio certe aberrazioni non esistevano quindi nemmeno si potevano punire. Ci strappa un sorriso il giornalista Ennio Scribani quando lo racconta. Lui, scrittore de "L'unità" l'avrebbe aiutato il povero Braibanti, quello di Gianni Amelio si capisce. Invece aiuta noi, genti del secolo successivo, a smascherare un Italietta bigotta e meschina perché nemmeno il quotidiano del PCI ebbe l'ardire di difendere uno dei suoi dall'accusa e dall'infamia, censurando e omettendo le righe dei suoi. Nemmeno la sinistra era esente dal pregiudizio, nemmeno l'Unione Sovietica che apparteneva al lavoratore.
Gianni Amelio racconta il suo Braibanti, il rapporto con il giovane studente di medicina, gli anni di sperimentazione nella "Torre", una comune artistica in Emilia, gli anni romani prima e dopo il processo. Il regista ne fa un ritratto a tutto tondo. Il suo Braibanti è freddo, scostante. Ha un ego smisurato che si manifesta in una nichilistica sorta di passività-aggressività che smorza sul nascere qualsiasi forma di opposizione. Ma è anche un uomo colto, dall'intelletto vivace, troppo vivace per i tempi. Difficile per chiunque non rimanere affascinato dal suo carisma. Insomma il Braibanti di Amelio è tutt'altro che un santo ma nemmeno un mostro. Non voglio essere ricordato come martire ne come mostro dirà allo Scribani. Gianni Amelio, qui prodotto da Marco Bellocchio che all'epoca dei fatti fu uno degli intellettuali firmatari della richiesta di scarcerazione, ha l'onestà intellettuale di descrivere pregi e difetti dell'uomo e di non attribuire alla sola destra conservatrice, clericale e fascista la colpa delle disavventure del filosofo, abbandonato anche dei comunisti, dal quotidiano del partito e da un'opinione pubblica molto chiusa e puritana.
Dal punto di vista cinematografico il "Signore delle formiche" non aggiunge nulla di che ma la storia è raccontata con l'integrità di un regista che sa riconoscere torti e ragioni. Il ritratto del paese è impietoso ma utile perché è meglio evidenziare che cancellare il passato.
Non siamo agli apici della filmografia di Amelio ma di fronte ad film robusto, ottimamente interpretato da Luigi Lo Cascio e pregno di passione civile. Elio Germanio è perfetto nel rendere le inquietudini nascoste sotto il cappello di paglia di una popolazione attenta ai diritti costituzionali, volonterosa ma anche realisticamente conscia che il progresso richiede un duro lavoro e la pazienza della acque chete che erodono i ponti.
Pur riconoscendo il peso del Partito Radicale nella causa a favore di Braibanti non ho apprezzato, invece, il fugace cameo di Emma Bonino, tra i manifestanti. L'Emma Bonino di adesso, non certo quella di allora. Quella di allora poteva starci. Amelio avrebbe potuto citare Pannella, quello sì. La penna può tutto. Invece ha preferito un manifesto politico che nulla o poco c'entra col film. I progressi civili dell'Italia siano ricondotti alla sensibilità della moltitudine che ha eroso lentamente i mattoni di una società vecchia e inamovibile
È pur sempre l'unica pecca formale in un film che consiglio fortemente di vedere. Per ricordare e riflettere sul passato e sul presente.
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