Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Lastricato di buone intenzioni, il film si incanta troppo a guardarsi addosso, cercando la poesia ma mostrando la ruvidezza dei tempi, sfiorando la delicatezza dei corpi ma scontrandosi con la crudezza delle conseguenze di malattia e morte. Pupi Avati non dimentica il nucleo cupo e misterioso, aspro e crudele contenuto nel suo cinema apparentemente tenue e sospirato, cercando con Dante il giusto equilibrio tra i suoi due mondi interiori. Il viaggio di Boccaccio, ricco di flashback corposi e descrittivamente folti di dettagli cupi e macabri, permette di presentare alcuni dei personaggi che compongono la divina commedia, e allo stesso tempo seguire passaggi importanti della vita del sommo poeta. Tutto questo procede narrativamente con sforzo, poggiandosi su conoscenze implicite dello spettatore e quindi presumibilmente ricco di zone d'ombra e vuoti del racconto, e la passione del Boccaccio per il maestro, oltre all'impegno per adempiere alla propria missione di portare il simbolico risarcimento di dieci monete d'oro all'unica figlia rimasta in vita di Dante da parte della città di Firenze, sono le poche cose limpide ed empatiche che il film comunica pienamente. La passione per Beatrice, l'amicizia fortissima per Guido Cavalcanti e il suo doloroso tradimento non raggiungono, perchè frammentati, l'emozione del Boccaccio che si vede praticamente disconosciuto dall'unica figlia ritrovata, con il dolore e lo sgomento di assistere al dono di una bambola portata e custodita per tutto il viaggio, imperfetta ma preziosa, finita per essere immediatamente seppellita perchè brutta (le manca un occhio!) dalla bambina. Molto bello, però, il finale, dove ll'incontro a Ravenna con la figlia di Dante, Suor Beatrice, dona allo spettatore uno spicchio di poesia paterna e filiale, attraverso il ricordo che riaffiora quando il papà, dice, conosceva i nomi di tutte le stelle.
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