Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Attraverso il personaggio di Giovanni Boccaccio, Pupi Avati ripercorre la vita di Dante, segnata dall'esilio e dall'ingiustizia.
Da un regista come Pupi Avati non mi sono sbagliato ad attendermi una pellicola con personaggi ed estetica non convenzionali; non hollywoodiani, ma neppure italiani, se pensiamo alla fiction o ai prodotti più standardizzati. E posso aggiungere che maestro bolognese non mi ha deluso.
Il regista ci presenta un Medioevo segnato dalla malattia e dalla morte – elementi questi che percorrono tutto il film e continuamente si ripresentano. Dalla più temibile peste alla banale scabbia, è tutto un balenio di pustole e bende, sporcizia, scheletri, salme vegliate e funerali.
Naturalmente, Dante ci viene presentato senza alcuna retorica e mitizzazione: prima come un giovane come tanti, però con la passione per la poesia, e poi come un vecchio segnato dalla vita e decrepito, condannato dalle faide intestine della città di Firenze a morire dolorosamente in esilio. Avati forse enfatizza troppo la morte e la malattia nella sua opera, ma credo che ritragga fedelmente il dramma di una Firenze dilaniata dalla discordia e dall'odio. Beatrice, dal canto suo, è una ragazza come potrei immaginarmela io: una credibile bellezza nell'anima e nel corpo.
Il fatto che nel film compaia l'incubo di Dante – dove Beatrice, in braccio di un uomo nero, divora un cuore – secondo me allude a tragici errori che il poeta avrebbe fatto nel rapporto con lei. Perché non tentò neppure di conoscerla personalmente se tanto gli piaceva? Perché accettò così di buon grado il di lei matrimonio combinato, condannando la ragazza e se stesso ad un triste destino? Pare che Beatrice lo ricambiasse, e la passione per lei divorava, di fatto, il cuore di Dante. Il loro sembra un tragico amore mancato, e questo per colpa di lui. Del resto sono pochi coloro che, studiando il grande poeta fiorentino, non si siano chiesti perché diamine non abbia neppure tentato di instaurare un rapporto con lei.
Quanto agli attori, non deludono gli scafati professionisti Castellitto e Lo Verso, compreso l'immancabile “avatiano” Haber in una particina.
È una pellicola dolente e dolorosa, ambientata in un mondo avvolto nei miasmi della morte, della sporcizia e della malattia, nel quale, però, sembra aprirsi uno sprazzo di speranza, che alla fine riesce a rasserenare l'animo. Pertanto, direi che è un film ottimista nonostante tutto. In molte altre pellicole del regista, invece, avevamo la mazzata finale che metteva fine alle flebili speranze dei personaggi...
L'ho visto al festival del cinema italiano di San Pietroburgo. La grande sala era praticamente piena, e la pellicola è stata preceduta da un simpatico video di saluto al pubblico da parte degli attori – vestiti in abiti moderni e senza fasciature o piaghe...
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