Dopo tanti blockbusters, torna l'Autore Branagh, con un frammento autobiografico sensibile e ispirato.
Con Belfast (2021) - candidato stanotte agli Oscar 2022 - Kenneth Branagh ricostruisce la sua infanzia e si affranca momentaneamente dalle megaproduzioni raccoglisoldi e dagli adattamenti da Shakespeare, firmando un piccolo e virtuoso gioiello ambientato nella città nordirlandese nel 1969.
Una famiglia di Belfast, il cui padre lavora come falegname in Inghilterra e torna a casa ogni due settimane, deve decidere se rimanere in patria tra le enormi difficoltà determinate dalle trasferte e dalle violenze tra cattolici e protestanti, oppure trasferirsi.
Branagh sa mostrare fatti gravissimi con la lievità della commedia e, tra metonimia e sineddoche, le traversie di una famiglia per quelle di un popolo e il pullulare vitale, accogliente e magico di un quartiere per quello della città. Curiosità: il film è girato solo in minima parte a Belfast, per il resto il quartiere è stato totalmente ricostruito in Inghilterra, in un set allestito alla fine di una pista del piccolo aeroporto internazionale di Farnborough, nell'Hampshire, dove gli aerei volano ancora, mentre per le seguenze dell'ospedale e della scuola, è stato utilizzato un plesso scolastico in disuso vicino all'aeroporto stesso.
Nel film la lotta violenta e il messaggio politico si diluiscono in commedia perché ogni difficoltà può essere affrontata meglio se la famiglia è unita e la solidarietà è diffusa e, soprattutto, perché la storia è vista dagli occhi di un bambino di 9 anni, una tecnica usata da tantissimi e virtuosissimi predecessori, tra i quali voglio ricordare solo "Papà è in viaggio di affari", di Kusturica. A garanzia della lievità del tocco, non mancano scene esilaranti come quella in cui il piccolo protagonista viene coinvolto nella vandalizzazione e saccheggio di un supermercato e, interrogato dalla madre sul motivo per cui ha rubato un prodotto, risponde: "perché è biologico".
Il dinamico racconto registico si dipana tra canzoni e passi di danza, dolly e gru, panoramiche sperticate e un editing serrato, che sono un piacere per la vista, per chi sa guardare. E per chi sa ascoltare, ecco uno dei più coinvolgenti e affascinanti soundtrack degli ultimi anni, firmato Van Morrison, che si avvale anche di qualche inserimento classico.
Il film è girato quasi tutto in bianco e nero, i colori sono presenti solo all'inizio e alla fine per non dissociarlo del tutto da un'attualità che ci deve ricordare che la convivenza tra etnie, culture e religioni diverse è sempre stata un'opportunità e un problema, e sempre lo sarà, ma anche che l'arte è uno degli strumenti più importanti a nostra disposizione per guardare all'altro con naturale fiducia e insaziabile curiosità.
La fotografia-capolavoro, che trasforma il bianco e il nero in velluto, è di Harlis Zambarloukos. Nel casting spiccano il piccolo protagonista Buddy (Jude Hill), Caitríona Balfe nella parte di Ma e Judy Dench e Ciarán Hinds, che interpretano i nonni.
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