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Belfast

Regia di Kenneth Branagh vedi scheda film

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La recensione su Belfast

di supadany
7 stelle

Imbottigliati nella tenaglia dei mille impegni che costringono a guardare sempre al presente e, al più, al futuro prossimo, rischiamo di dimenticare chi siamo. Di rimuovere le nostre origini nel nome di una globalizzazione sclerotica e condivisa, di scordare da dove veniamo, chi ci ha permesso di iniziare e poi completare il percorso di crescita, tutte quelle esperienze vissute sulla nostra pelle, siano esse scandite da note liete o infelici.

Insomma, di tanto in tanto varrebbe la pena stoppare la sfrenata routine di ogni santo giorno per tornare sui propri passi e rielaborarne il senso, per assicurarsi non venga disperso, per condividerlo con il resto del mondo.

Con BelfastKenneth Branagh compie un’operazione di questo stampo, riattaccando il cordone ombelicale per fabbricare un distillato delle sue passioni primarie (cinema e teatro), di ricordi legati alla sua infanzia, pregno di quei legami fondamentali che nessuno deve mai dimenticare, riconoscendone i meriti, suggerendo di fare altrettanto.

Belfast, 15 agosto 1969. Per le strade della città scoppiano gli scontri tra cattolici e protestanti, che sbriciolano una situazione resa già precaria dalle diffuse difficoltà economiche.

In questa realtà, marcata da tensioni crescenti, il piccolo Buddy (Jude Hill - Esordiente) vorrebbe continuare a essere spensierato come sempre, ma non può fare a meno di vedere quanto sta capitando sulla porta di casa.

Nel frattempo, suo padre (Jamie Dornan – The fallA private war) trascorre gran parte del tempo a Londra per lavoro, sua madre (Caitriona Balfe - Outlander) cerca, tra tante preoccupazioni, di mantenere in piedi la famiglia e i nonni (Ciarán Hinds – The woman in blackLa talpaJudi Dench – SkyfallLa mia regina) dispensano consigli rassicuranti (lui) e osservazioni disincantate (lei).

Mentre la violenza dilaga e il pericolo è ormai tangibile anche a chi vorrebbe guardare oltre, si avvicina il momento di assumere scelte familiari di natura dirimente.

 

Jude Hill, Kenneth Branagh

Belfast (2021): Jude Hill, Kenneth Branagh

 

Kenneth Branagh ci era mancato, dopo anni trascorsi prevalentemente al servizio delle major (gli altri film diretti nel frattempo non hanno mai avuto particolare riscontro). Con Belfast riavvolge il nastro del tempo, letteralmente avendo attinto a spunti autobiografici, accantonando temporaneamente le riletture di Agatha Christie (Assassinio sull’Orient ExpressAssassinio sul Nilo), la galassia Disney/Marvel (CenerentolaThor) e altri blockbuster di modesta levatura (Artemis FowlJack Ryan: L’iniziazione).

Trattasi di una pellicola dall’immediatezza fulminante, temprata da un bianco e nero cristallino (quindi con più punti di contatto con Roma e un’ulteriore allaccio personale pensando al meraviglioso Nel bel mezzo di un gelido inverno), che adotta come filtro dominante quello di un bambino.

Sul suo sguardo, viene cucito, definito e affinato l’intero svolgimento, contraddistinto da quanto accade per le strade, dove i nervi sono a fior di pelle (‘71), e gli effetti inevitabilmente catapultati sulla famiglia (Nel nome del padre), con l’improvvisa irruzione di una violenza discriminatoria e problemi che si sormontano agli esistenti (tasse arretrate da saldare), facendo pensare a quei bivi che vanno esaminati con accuratezza anche se non vorremmo mai ritrovarci al loro cospetto, presenti soprattutto nelle terre martoriate portando a un malinconico distacco dalle proprie radici.

A tutti gli effetti, viene elaborato un dizionario emotivo che accoglie lo spettatore a braccia aperte mantenendo il punto di cottura dall’inizio alla fine, un concentrato (in tutti i sensi, data la breve durata) di sconvolgimenti emotivi accompagnati dalle sonorità di Van Morrison, esposti attraverso una grammatica piana che sparpaglia aneddoti e spariglia le carte con costanti imbeccate, uno smistamento a getto continuo e balzi finalizzati ai singoli approdi limitando al minimo (superflui?) raccordi.

Un maelstrom azzimato dalla chimica umana, pronunciata in virtù delle interpretazioni. Se il giovanissimo Jude Hill emana meraviglia e terrore come fosse un libro aperto, rivelandosi una scelta assolutamente indovinata e vincente, intorno a lui viene a crearsi una specie di inner circle, all’interno del quale ognuno sfrutta i pochi minuti a disposizione. Un plauso particolare va alla prova matura di Jamie Dornan e alla debordante intensità di Caitriona Balfe, mentre Ciarán Hinds e Judi Dench fanno valere la loro spiccata classe.

 

Jamie Dornan, Caitriona Balfe

Belfast (2021): Jamie Dornan, Caitriona Balfe

 

Nell’insieme, Belfast è una sorta di raccoglitore della memoria, uno scrigno di forti emozioni che fa breccia con una batteria di stoccate vincenti, un inno alla vita (e al ricordo) cantato laddove la stessa viene spezzata, spazzata via da controversie insanabili e laceranti. Tra divisioni dettate dall’odio e unioni indissolubili, la prima cotta e le marachelle di un bambino, lutti e addii, contrasti e sintonie, società e famiglia, che delineano anche una significativa discordanza tra un teatro di guerra e il nido protettivo.

Senza tralasciare un implicito riconoscimento a chi, nella cattiva sorte, tiene in piedi la baracca (nella fattispecie, un padre che per lavoro deve stare lontano dai suoi affetti e una madre che ha dedicato anima e corpo ai suoi bambini), un omaggio alla magia del cinema (fa tenerezza, tanto più in questo periodo, vedere i protagonisti immersi nelle immagini proiettate sul grande schermo) e un più generalizzato tributo a tutte quelle persone che devono combattere – con le unghie e con i denti -  per sopravvivere a sopraggiunte avversità.

Spugnoso e reattivo, denso e disinvolto, senza prendere in considerazione le mezze misure e la fantomatica giusta distanza.

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