Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film
Peppino Imapstato e Tano Badalementi hanno condotto le loro vite in un luogo cittadino più somigliante ad un paese che ad una cittadina. Cento passi separavano le loro case, ma più di cento miliardi di chilometri dividevano le loro anime, diversissime per ideli, obiettivi e principi. Che peccato, quel Peppino poteva essere un buon picciotto... Mica come suo zio, quel Cesare Manzella, pace-all-anima-sua, troppo autoritario... Poveraccio suo padre, Luigi, pure lui un buon picciotto, che disgrazia avere un comunista in famiglia! Saranno stati questi i pensieri di Badalamenti -uno che è partito dal basso per arrivare a frequentarsi con gente come Giulio Andreotti- vedendo quel giovanotto intraprendere la lotta al potere criminale che investiva Cinisi e alla mafia. Ma che è sta mafia? Dov'è? Ed era questa la battaglia più importante di Peppino: far capire che la mafia c'era, c'è, e vive insieme a noi e che il mafioso può anche essre il nostro vicino di casa, il postino, il ristoratore, il barbiere. E la prova tangibile che la mafia è, è il suo omicidio. Imbottito di tritolo fu fatto saltare in aria. Era troppo scomodo, parlava troppo quel giovanotto. Ma la cosa più scandalosa è che le forze dell'ordine certificarono quell'omicidio di stampo mafioso come suicidio. Ci rendiamo conto? La vita di Giuseppe detto Peppino Impastato è raccontata con stile asciutto e giusto, senza enfasi ne retorica, dalle validi penne di Claudio Fava e Monica Zappelli -Miglior sceneggiatura a Venezia 2000-, che hanno fornito a Marco Tullio Giordana la base per creare un'opera necessaria e sentita. Inanzitutto un appassionante e coraggioso film contro l'autorità mafiosa istauratasi in Sicilia con poche diffcoltà, un duro j'accuse che non risparmia nessuno tra gli amici e tra gli amici degli amici. Il giovane idealista Peppino è uno dei tanti uccisi per non parlare più, per non denunciare gli squallidi intrighi di cosa nostra, uno degli esempi più crudeli di come la mafia conti più dello stato. Un film quindi caratterizzato da un forte impegno civile, degno dei film di Francesco Rosi -citato mirabilmente con la proiezione de "Le mani sulla città"- e Elio Petri, dove certo forse l'ideologia rossa è un po' marcata, ma è difficile trattenere le lacrime vedendo sventolare quelle bandiere rosse al funerale di Peppino. Ma è anche un'analisi acuta e pertinente sui rapporti familiari, in special modo sui rapporti padre-figlio tra Luigi e Peppino. Ossia, un figlio ribelle e gisuto e un padre sì obbediente al boss Tano Seduto ma anche tormentato e dominato da un conflitto interiore nascosto (prima dice "se mio figlio è comunista io l'uccido" e poi "dovranno passare sul mio cadavere"). Emblematica e dura la scena dell'"onora tuo padre". E una madre che fa da tramite tra i due, dolce e determinata figura materna che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. La scelta musicale e, come sempre in Giordana, spaziosa e originale e meritano un sacco di elogi -da "A Whiter Shale of a Pale" a "Nel blu dipinto di blu", passando per "Suzanne"- e la fotografia di Roberto Forza e il montaggio di Roberto Missiroli. Così come li merita il nutrito e grandioso cast: dall'eccellente Luigi Lo Cascio, giovane teatrante esordiente, al sublime Luigi Maria Burruano, padre tormentato e obbediente, da mamma Lucia Sardo a un ottimo Tony Sperandeo che interpreta Badalamenti. Un film che rimarrà nella storia del recente cinema italiano.
Variegata.
Voto: 8.
Naturale e asciutto.
Un po' bozzettistico, ma bravo.
Ottimo in un personaggio torbido e crudele.
Eccellente nella sua prima prova davanti la mdp. E' nata una stella.
Impeccabile. Eccellente.
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