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Un eroe

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Regia di Asghar Farhadi

Con Amir Jadidi, Mohsen Tanabandeh, Fereshteh Sadrorafaii, Sahar Goldoust, Maryam Shahdaie, Ali Reza Jahandideh, Ehsan Goodarzi... Vedi cast completo

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Trama

Rahim è in carcere a causa di un debito che non è riuscito a ripagare. Durante un permesso di due giorni, cerca di convincere il suo creditore a ritirare la denuncia in cambio di una parte della somma. Le cose però non vanno come previsto.

Curiosità

INTERVISTA AL REGISTA

Com'è nata l'idea alla base di Un eroe?

Era da tempo che leggevo sulla stampa storie di questo genere con protagonista gente comune che guadagnava la ribalta dei titoli a causa di un gesto altruistico. Queste vicende hanno spesso delle caratteristiche comuni. A Hero non è stato ispirato da una notizia specifica ma, mentre lo scrivevo, avevo in mente tutte le storie lette sui giornali.

Perché ambientare la storia a Shiraz?

La risposta alla domanda è data dal tema del film. A Shiraz ci sono i resti di numerose vestigie storiche, tracce importanti e gloriose dell'identità iraniana. Il motivo principale per cui l'ho scelta sta nella specificità della trama e nella caratterizzazione dei personaggi. Una seconda ragione è invece data dal mio desiderio di prendere le distanze dal caos di Teheran.

Com'è stato il processo di scrittura?

Inizialmente avevo un'idea piuttosto vaga, frutto delle storie vere di cui parlavo prima. Con il passare del tempo, l'idea è cresciuta e si è rinforzata. Lavoro sempre allo stesso modo: la molla può scattare da un'immagina, da una sensazione o da una trama succinta che sarà sviluppata in seguito. A volte, tutto può stare in angolo della mia mente, senza che io abbia il sospetto che un giorno possa dare origine a una sceneggiatura. Il tempo è un alleato importante: alcuni semi vanno via da soli, altri invece persistono, crescono e rimangono in te in attesa che ci si dedichi a essi per farli germogliare. È questa la fase in cui, attraverso note sparse, un'idea comincia a farsi strada. Arrivano poi le ricerche e i primi appunti, in grado loro stessi di dettare il percorso da prendere. Quasi tutte le mie storie maturano in maniera progressiva dentro di me. Non ricordo di aver mai concepito immediatamente una storia completa, con un inizio, una parte centrale e una fine decisi sin dal primo momento.

Ha chiara la biografia completa dei suoi personaggi?

Quando parlo di note sparse, mi riferiscono in gran parte ad appunti sull'esplorazione del passato dei personaggi. Tale fase, che richiede sempre molto tempo, riguarda soprattutto i personaggi principali. Per mesi, annoto su cartoncini colorati tutte le idee relative alla storia che sto sviluppando. Riservo un colore alle idee che sono sicuro che integrerò in un modo o nell'altro nella sceneggiatura, un altro colore invece va a quelle di cui sono meno sicuro. Un gran numero di questi cartoncini non verrà utilizzato direttamente in fase di scrittura perché non forniscono informazioni chiare per la sceneggiatura, anche se mi aiutano a capire meglio i miei personaggi. Durante la fase preparatoria, si sviluppano molti aspetti relativi al passato dei loro personaggi e alcuni lasceranno tracce più o meno visibili nel film.

Il personaggio di Rahim è molto ambiguo. Ad esempio, ha un sorriso che non abbandona quasi mai...

Mi sembra che l'approccio realistico del film meritasse un personaggio con una caratterizzazione molto complessa. Nella realtà, le persone sono caratterizzate da una molteplicità di dimensioni e, in base alle situazioni vissute ne lasciano emergere una sola, che prende il sopravvento sulle altre e diventa la più visibile. I miei personaggi possono essere definiti "grigi": non sono mai stereotipati o unidimensionali. Come ogni persona reale nella vita quotidiana, sono fatti di contrasti, tendente antagoniste, di tentennamenti al momento di prendere le loro decisioni. Il sorriso di Rahim fa parte di quell'insieme di tratti apparsi improvvisamente nel corso dei mesi di prove per definire meglio la recitazione dell'attore che lo interpreta, per far sì che fosse così come lo volevo io: grigio, calato nella realtà quotidiana.

Che metodo adotta per rendere le scene di gruppo così naturali, soprattutto quelle in famiglia?

Tutto nasce sempre dalla scrittura. Si tratta di un processo inconscio. Quando sul set dobbiamo rendere verosimile e autentico ogni dettaglio della scena, tutta la squadra - soprattutto gli attori - si applica per dar vita al modello offerto dalla sceneggiatura stessa. I comportamenti dei personaggi e i loro dialoghi non sono irrealistici o costruiti su luoghi comuni: gli attori devono sforzarsi di non cadere con la loro interpretazione nella trappola dell'innaturalezza. Ovviamente c'è il rischio che la ricerca della naturalezza stessa sfoci nell'artificio. Il limite è sottile ed è necessario stare molto attenti per non attraversarlo. La vita quotidiana può essere ripetitiva e noiosa. Come regista, devo far sì che la ricerca del realismo, che rende le scene quasi da documentario, non porti al ritmo lento e insignificante della vita reale.

Siavash vive con lo zia e la zia, Farkhondeh sta con il fratello: esiste in queste famiglie allargate una solidarietà diffusa che a volte diventa un peso. In Iran, è molto comune che accada?

Immagino che come in molte altre nazioni ciò sia meno evidente nella capitale o nelle grandi città. Altrove, però, il ritmo della vita è meno frenetico, le famiglie hanno perso meno la loro identità e i loro modi tradizionali di vivere: di conseguenza, si incontrano spesso famiglie allargate. Anche le relazioni familiari e affettive sono diverse: se qualcuno sta male o è in difficoltà, tutti se ne preoccupano. Io sono cresciuto un ambiente socioculturale di questo tipo. La frase "Non è un mio problema" non esisteva nella lingua degli Iraniani vent'anni fa. Ora è stata importata e ovviamente caratterizza una nuova modalità di relazione anche nella nostra società.

Anche il personaggio di Bahram, l'uomo a cui Rahim deve dei soldi, è molto ambiguo.

In maniera classica, il personaggio avrebbe dovuto essere il cattivo del film, quello che non ci sarebbe piaciuto per via degli ostacoli che crea al protagonista. Ma, a causa del trattamento dei personaggi di cui parlavo prima, anche lui ha le sue ragioni per comportarsi così come fa. Quando se ne viene a conoscenza, i suoi gesti appaiono del tutto giustificati e il suo comportamento comprensibile. Forse è questo aspetto che, andando contro la figura stereotipata del cattivo, ci permette di empatizzare con lui.

Come in Una separazione, lo sguardo dei bambini è importante.

In questo film, ancora una volta, i bambini sono testimoni. Osservano le difficoltà degli adulti e i loro conflitti, anche se non riescono a coglierne la complessità. Come nelle mie opere precedenti, i bambini sono testimoni storditi degli eventi. La loro percezione della crisi vissuta dagli adulti è puramente emotiva. Tuttavia, in Un eroe, Nazanin, la figlia di Bahram, è più grande degli altri bambini e commette un atto che rende la situazione ancora più complessa.

La maggior parte dei personaggi comunica attraverso i social media. È un fenomeno così nuovo e potente in Iran?

Come nel resto del mondo, in Iran i social occupano un posto importante nella vita delle persone. Si tratta di un fenomeno abbastanza recente ma il suo impatto è tale che è diventato difficile da ricordare come fosse la vita prima. La mia esperienza personale mi porta a pensare che l'onnipresenza dei social nella vita di tutti i giorni sia più forte nella società iraniana che altrove.  E ciò è dovuto alla situazione sociopolitica della nazione.

Alla fine di ogni suo film, lo spettatore non ha risposte a tutte le domande sollevate dalla trama. Si definisce un regista dell'indecidibile?

Tale caratteristica non è voluta. L'ambiguità (talvolta, anche misteriosa) si insinua durante la scrittura e devo ammettere che oramai sono affezionato a essa. Finisce con il rendere più duraturo il rapporto tra il film e lo spettatore, che non finisce alla fine della proiezione ma va avanti nel tempo facendo sì che si torni a pensare alla storia e a esplorare ulteriormente ciò che viene definito indecidibile.

Jean Renoir diceva che "la cosa più terribile in questo mondo è che ognuno ha le sue ragioni". Sembra adattarsi perfettamente alla maggior parte dei personaggi di Un eroe.

Sono d'accordo. Ognuno ha le proprio ragioni per comportarsi come fa, anche se non necessariamente ne ha consapevolezza. Se gli venisse chiesto di elencarle, non ci riuscirebbe. A volte le ragioni non sono chiare o facilmente riassumibili. Sono una massa di contraddizioni, non sono né chiare né semplici. Sappiamo bene che gli individui possono impiegare anche anni per trovare dentro di loro le ragioni delle loro azioni, profondamente sepolte nel loro passato. Devo però chiarire che ciò non significa che ogni azione è giustificata: non è una questione di legittimazione ma di comprensione. Comprendere non significa legittimare. Riconoscendo le ragioni che hanno spinto un individuo ad agire, possiamo capirlo ma non dobbiamo necessariamente dargli ragione.

Trailer

Commenti (15) vedi tutti

  • Il carosello di menzogne che si mette in moto per compensare le perversioni di un sistema di potere che manipola senza scrupoli i destini individuali, finisce per toccare i fili di un meccanismo troppo complesso dove ciò che è eticamente accettabile non è quale sia la verità ma come essa possa o debba apparire.

    leggi la recensione completa di maurizio73
  • Asghar Farhadi regista iraniano sublime capace di emozionare con tutti i film girati ad iniziare da About Elly.

    leggi la recensione completa di claudio1959
  • Farhadi disseziona in strati la natura mutevole della percezione pubblica nell'era social. Scarmigliato nell'intreccio, il racconto profila credibilmente l'ambascia introspettiva del personaggio centrale (impersonato da un convincente Amir Jadidi).

    commento di Stefano L
  • Direzione di gran pregio e sceneggiatura in grado di calarci in una atmosfera di grande realismo che è poi la principale qualità di questo appassionante film del regista Asghar Farhadi. Detto questo il fatto che in Iran basti pagare per evitare la pena capitale è quantomeno dubitabile. Bisognerebbe approfondire per chiarire la questione.

    commento di bombo1
  • Non è facile rappresentare vicende in cui ogni parte in causa, con in palio la propria reputazione, ha le sue valide ragioni, tutte tanto ineccepibili quanto contrapposte. Nè proporre interni familiari, handicap, risse, o enti diversi con straordinaria presa emotiva, per la loro eccezionale naturalezza. Assolutamente da consigliare.

    commento di Piero
  • Situazione assurda e incasinata, un po' impegnativa da seguire,ma il finale ripaga di tanti svoltamenti della situazione iniziale.Per me promosso e da vedere.

    commento di ezio
  • Titolo bugiardo e pretestuoso. Opera cervellotica, caotica, pendente e carente. Il vero eroe è il creditore primario, quelo che manda in galera l'eroe di carta. Ma l'intellighenzia festivaliera non lo ammetterà mai.

    commento di leporello
  • La verità raccontata per quella che è sa assolvere completamente le sue finalità. Ma se viene condita da una serie di piccole bugie il rischio concreto è che i dubbi e i sospetti le faranno perdere tutta la consistenza originaria. Questo è il teorema di "Un eroe" di Farhadi, un film che racconta con realismo la complessità delle relazioni umane.

    commento di Peppe Comune
  • Patetico e stucchevole. Due ore di seghe mentali.

    commento di gruvieraz
  • Quando nella vita può accadere di infilarsi in un tunnel pieno di insidie e contraddizioni. Difficile uscirne, perché tutti alla fine hanno un po' di ragione. Grande Farhadi come sempre. Imbattibile nella scelta caratteriale dei suoi personaggi, impegnati nella finzione cinematografica come se fossero nella realtà.

    commento di iro
  • Un film girato in Iran con interpreti iraniani. Un film per conoscere un mondo molto diverso dal nostro. La storia non e' male. In Iran, per un debito non onorato, si finisce in carcere. In Italia naturalmente no... voto 7

    leggi la recensione completa di filmista
  • Farhadi è come lo scrittore Khaled Hosseini: un meticoloso e indiscusso maestro del dubbio e del mistero, che ormai (con)cede troppo alla voglia di "arcaici" melodrammi.

    commento di Dalton
  • Ritorno di Fahradi in patria, finalmente, per seguire a Shiraz le vicende di un uomo che si aggira nell’intricato labirinto dei corridoi senza uscita, alla ricerca di un volto amico e di una giustizia vera...

    leggi la recensione completa di laulilla
  • Che dire, sicuramente non un brutto film ma non mi ha del tutto convinto. Sceneggiatura originale un po' troppo incasinata con qualche inverosimigliante forzatura. A mio parere tre dignitose stelle ma non di più.

    commento di pippus
  • Non convince, un dramma che sconfina nello psicodramma e nella noia

    leggi la recensione completa di siro17
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Recensioni

La recensione più votata è positiva

supadany di supadany
8 stelle

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13 recensioni positive

Recensioni

La recensione più votata delle sufficienti

siro17 di siro17
5 stelle

No, non convince questo film premiato a Cannes (al pari di Scompartimento n. 6 che invece vale dieci volte di più). Lo stile di Farhadi è lo stesso di sempre, misurato e didascalico. Con i tratti di una fiaba il protagonista cerca redenzione con un bel gesto che possa farlo uscire di galera. Da qui si dipanano un ginepraio di reazioni e controreazioni (alimentati anche dai… leggi tutto

1 recensioni sufficienti

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