Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Anno del Signore 1386.
Il cavaliere di Francia Jean de Carrouges muove allo scudiero Jacques Le Gris l’accusa gravissima di essersi introdotto nel suo castello in sua assenza per violentarne la moglie Marguerite de Thibouville appellandosi al Re Carlo IV di risolvere la disputa tramite un duello, un’usanza all’epoca già in disuso ma ancora legittima che prevedeva una risoluzione giuridica per mezzo di uno scontro all’ultimo sangue tra i due contendenti, nella convinzione che Dio avrebbe concesso la vittoria a chi era nel giusto, punendo invece chi era nel torto con la sconfitta (e la morte).
Questa fu l’ultima occasione nel quale venne ufficialmente riconosciuto, in Francia, un combattimento in nome di Dio per la risoluzione di una faida giudiziaria.
Basato sul racconto The Last Duel: A true story of Trial by combat in Medioval France di Eric Jager la pellicola segna il ritorno di Ridley Scott ai film in costume e ricostruisce la coppia di sceneggiatori formata da Matt Damon & Ben Affleck, già premiata con l’Oscar per Will Hunting - Genio ribelle nel 1998, che insieme a Nicole Holofcener, in nomination per Copia Originale, hanno adattato il testo di Jager lasciando a quest’ultima la scrittura del terzo e ultimo capitolo, per avere così un approccio più femminile (o femminista) alla vicenda.
The Last Duel si riallaccia infatti al movimento del #MeToo proponendo uno spaccato della realtà medioevale correlazionandola alla realtà di oggi e realizzando pur senza esplicite denunce (non erano necessarie) un prodotto fortemente femminista, cavalcando come da tradizione dell’Industria dei Sogni questioni sociali e/o politiche profondamente democratiche, a volte in modo illuminato e altre volte impantanate in troppa retorica, ma senza però perdere mai di vista intrattenimento e (soprattutto) guadagno.
Ma il film é anche l’ennesima dimostrazione della spettacolarità, anche se in parte trattenuta come in questa occasione, del cinema solido e di mestiere di Ridley Scott, accompagnato nell’occasione anche dalla splendida fotografia di Dariusz Wolski e dal fondamentale montaggio di Claire Simpson, a incorniciare un racconto che poggia le proprie fondamenta in una tripartizione della struttura dalle influenze kurosawiane, riavvolgendo per tre volte (troppe?) la vicenda narrata e alternandone i punti di vista in un omaggio non tanto (o soltanto) a Rashomon quanto anche a serie televisive come The Affair.
Ogni segmento in cui é divisa la pellicola racconta la vicenda dal punto di vista di uno dei suoi protagonisti, ognuna introdotta da una didascalia che afferma “La verità secondo...” ed eccezione della terza e ultima (dedicata a Lady Marguerite) seguita da un ulteriore (e definitivo) “La Verità” (che in realtà é soltanto un’ipotesi romanzata in quanto le cronache dell’epoca non presentano elementi che possano accertare che la violenza sia effettivamente avvenuta oppure no).
Ma l’elemento più interessante e coraggioso é di come ogni mediometraggio rispecchi ognuno l’indole e la personalità del rispettivo protagonista, rivelandone anche gli aspetti più oscuri e nascosti.
E se il primo con protagonista Carrouges mostra se stesso come un cavaliere senza macchia e paura, dedito all’onore e alla fedeltà al Re e alla Francia, ma anche buon possidente e ottimo marito, comprensivo e generoso, questa si dimostra falso in quanto fantasia di un ideale cavalleresco che vorrebbe rappresentare ma che la realtà (e i successi racconti) dimostrano invece essere ben lontano dal vero.
Allo stesso tempo il secondo racconto (probabilmente il più riuscito e anche il più rivelatorio) dedicato a Le Gris é una parodia brutale e caustica di quell’amor cortese cantato nelle ballate medioevali ma spogliato di un eccesivo (e falso) romanticismo e piegato invece a un più stretto (e cinico) realismo.
Ma questi due racconti mettono in evidenza anche i reali motivi dello scontro (anche storico e generazionale) tra i due vassalli, tra il figlio del nobile che rivendica per se i privilegi di sempre destinati alla sua casta e il giovane arrivista, di povere origini ma letterato, che in nome del successo e delle proprie capacità rivendica esattamente quegli stessi privilegi, sottraendoli di fatto alla nobiltà preesistente.
Inevitabile quindi la lotta (di classe) tra i due contendenti.
Il terzo segmento con protagonista Lady Marguerite, tragico e malinconico, aggiunge ben poco alla narrazione principale (e a svelare attraverso, non a caso, una figura femminile la verità che si cela dietro alle menzogne degli uomini) ma serve soprattutto a tratteggiare in modo efficace la tragica figura della nobildonna dell’epoca, prigioniera nel ruolo di moglie e madre (o puttana) e condannata a essere oggetto di contesa (anche politica o economica) tra uomini possessivi, viziosi e/o superficiali e che intendono l’amore esclusivamente come possesso o premio a se stessi oppure a lottare, correndo anche enormi rischi, contro tutto e tutti per affermare la propria dignità e/o i propri diritti.
Jodie Comer, protagonista in TV di Killing Eve e del recente Free Guy con Ryan Reynolds, riesce ottimamente a incarnarne il volto come anche il dolore fisico e (soprattutto) psicologico di un atto così violento mentre il suo sguardo ferito ma risoluto é lo specchio di un prova attoriale dalle molteplici sfumature.
Matt Damon conferma la sua ottima maturità recitativa mentre Adam Driver in un ruolo non così scontato come il viscido e insinuoso Le Gris dimostra ancora una volta le sue sfuggenti capacità che gli permettono di rendersi sempre credibile anche in ruoli molto diversi tra loro.
A chiudere un insolito e divertito Ben Affleck che si ritaglia il ruolo del sordido Pierre d’Alacon, in pratica, rimanendo in tema con il #MeToo, una sorta di Harvey Weinstein medioevale.
A chiusura del film poi il cruento duello che dà il titolo alla pellicola nel quale lo scontro tra i due raggiunge l’apice in una battaglia all’arma bianca cruda e violenta ma mai veramente drammatica in quanto tragica fine di un’amicizia che in realtà non é mai stata tale, ennesima falsità di un mondo di finzione e di inganni creata dagli uomini e di cui entrambi si dimostrano colpevoli, ma che non permette a nessuno del pubblico di parteggiare per uno di loro e che, come la povera e unica (vera) vittima della vicenda, assiste inerme e rassegnato a un epilogo che, per quanto ben girato e spettacolare nel suo cruento realismo, non può in nessun modo portare a una vera e propria catarsi.
Ma forse l’intenzione degli autori era proprio questa.
VOTO: 7
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