Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Le opinioni sono come le palle, ognuno ha le sue. Clint Eastwood
A distanza di ventun anni dalla sua uscita, un film come Space Cowboys nella prolifica filmografia registica di Clint Eastwood può venire identificato come un punto di svolta, non tanto per inaugurare il successivo periodo lungo almeno una dozzina d’anni nei quali ha sfornato poi il meglio della sua produzione, ma come la resa verso una rappresentazione quasi obbligata di una serie di simbologie e riferimenti che ha fortunatamente poi abbandonato. Non che da allora oltre ai capolavori non ci siano stati altre ricadute, ma bisogna riconoscere a Eastwood che quando ha provato a cambiare rotta nei contenuti, non nello stile sia chiaro, ci ha sempre visto giusto. Space Cowboys invece è tutt’altra cosa, una minestrina riscaldata per cuori teneri che giocano a fare i duri senza poterlo più essere. Il gruppo dell’aviazione militare Dedalus ormai in pensione da anni, viene richiamato in servizio dalla Nasa per correggere la rotta di un satellite russo fuori controllo, sul quale però è stato montato un sistema operativo di volo progettato a suo tempo da uno dei quattro ex spericolati aviatori. La verosimiglianza regge nella prima parte, fino a quando lascia allo spettatore una chiave etica di lettura dei fatti, raccontati anche con ironia ma che possono portare ad una riflessione sul materiale umano, a quando viene accantonato perché non più funzionale alla contemporaneità, a come si potrebbe accedere ad un confronto generazionale, ad una comunicazione tra esseri umani che superi la barriera temporale. Invece dopo un mese di preparazione psico fisica e tecnica, i quattro fenomeni si ringiovaniscono e diventano astronauti.. Ci riescono perché questo è il cinema? Non solo, Eastwood eleva la morale sull’importanza dell’esperienza, sulla sua necessità, sui buoni sentimenti contornati dalla virile amicizia, con un tocco di celodurismo da balera, di amor patrio e di un rispetto insanabile verso ciò che è giusto fare senza esitazione alcuna. In pratica anziani e giovani uniti dallo stesso approccio demenziale verso una vita che deve osservare in ogni caso gli stessi valori imposti dall’alto. Chissà perché invece la fase registica successiva di Clint ha espresso proprio l’opposto, istillando il dubbio anziché la certezza, il dibattito morale interiore anziché il ceffone formativo, l’amarezza e lo sconforto del tempo piuttosto che cercare la supremazia valoriale del passato sul mondo che cambia alla faccia nostra. In Space Cowboys non c’è traccia di questo conflitto, i quattro amici hanno stimmate cameratesche e burlone, le loro caratterizzazioni risultano insostenibili e stereotipate. Tra amori, tradimenti, vecchie ruggini, solidità militaresca e soprusi da regolare. Purtroppo per Eastwood non c’è una strada polverosa su cui duellare, ma si trova a navigare nello spazio e la seconda parte del film impietosamente svela tutta l’inadeguatezza per potersi trasformare almeno in un buon prodotto di genere. Il dilemma umano anti tecnologico risulta debolissimo e non coinvolgono nemmeno le vicende personali degli impavidi pensionati. Se pensiamo a cosa ha fatto in tempi recenti Damian Chazelle con First Man (2018) siamo davvero su di un altro pianeta, non solo dal punto di vista puramente visivo(sarebbe ingiusto farlo perché si è avvalso di mezzi e di artifici che nel 2000 erano impensabili) ma da quello che vorrebbe mostrare, quel conflitto umano e tecnologico che Space Cowboys non arriva nemmeno a ipotizzare.
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