Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Los Angeles, 1973, Gary è in fila per la consueta foto dell’annuario scolastico, lì incontra Alana, venticinquenne disinibita assistente del fotografo incaricato di scattare le foto agli studenti, se ne innamora e la invita ad uscire. Inizia così un rapporto che si alterna tra l’amore non corrisposto e l’amicizia oltre ogni cosa, mentre sullo sfondo, i due, provano a plasmare il loro destino.
Ok. E quindi? Puro intrattenimento? Possiamo ben dire che l’ultimo film di Paul Thomas Anderson è mero e semplice intrattenimento? Due ore e tredici minuti di cose che accadono senza prendersi la briga di emozionare, stupire o almeno coinvolgere chi guarda, non fosse per la tanto osannata scena del camion che va in retromarcia in discesa, l’unica capace di far provare quantomeno un sussulto, che genera quell’aggrottare di sopracciglia sinonimo che almeno il cervello è stimolato ma, oltre a quello, niente più.
Per quanto Anderson venga oggi considerato uno dei più grandi registi del nostro secolo, per quanto faccia film ben costruiti, con sceneggiature valide (tranne questa), inquadrature precise contornate da un ottimo utilizzo della fotografia, quando si guarda una sua pellicola l’impressione è sempre e solo quella di assistere ad un compitino ben svolto, incapace di provocare una qualsiasi emozione.
Anderson eclissa il personaggio maschile dal testosterone alto, a cui ci aveva abituato in alcune delle sue ultime pellicole, e lo riduce a pivello adolescente con il cuore in fiamme per la donna indipendente che finge di non aver bisogno ne di lui ne di nessun altro, salvo poi vendersi al primo personaggio famoso che solo osi prospettarle una carriera. Narra una storia non solo banale ma anche appesantita da situazioni ai limiti del grottesco (vedere il Jon Peters di Bradley Cooper per credere) che colmano la pellicola di sfumature superflue quasi mai realmente apprezzabili.
Eppure è un gran peccato! Della sua filmografia Licorice Pizza, titolo che ho adorato fin da subito e che si ispira alla nome gergale con cui si chiamava il vinile all’epoca dei fatti narrati, pizza alla liquirizia appunto, denominazione legata anche ad una catena di negozi, è sicuramente il film più colorato, più dinamico e divertente che non meritava una sceneggiatura così ordinaria, a cui si accoda la scelta di una colonna sonora che non è (quasi) mai un valore aggiunto, come dovrebbe e potrebbe.
Intelligente la scelta di affidare i ruoli a due esordienti: Alana Haim (che non ho ben capito per quale motivo si sia tirata dietro tutta la famiglia), e Cooper Hoffman, figlio del compianto Philip Seymour che Anderson adorava a tal punto che, guardandolo in scena e non percependo (almeno per ora) il carisma dei grandi attori, finisci per chiederti se il regista abbia scelto il ragazzo per capacità o per nostalgia.
Licorice Pizza è un’operazione truffaldina, mette in scena un buon cinema di facciata ma non di contenuto. Una pellicola in parte buona ma in altra parte da riconsiderare.
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