Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
In Oklahoma un gruppo di bianchi stermina con subdola meticolosità l'unico gruppo di nativi che è riuscito a far soldi col petrolio. Una vicenda affascinante quanto estremamente inquietante, narrata con pacata linearità: il colpo di scena viene buttato lì senza alcun pathos ed il claustrofobico orrore in cui vivono Mollie e le altre donne è mostrato dal punto di vista del non sveglissimo protagonista, dando un'impressione di omertosa quotidianità per certi versi avvolgente. A colpire di più però è il sottotesto sulla condizione esistenziale di Ernest: alla fine quello che emerge è un uomo desideroso di tranquillità, che non vuole ricevere scossoni ed è disposto a commettere i peggiori crimini e chiudere gli occhi sui più intricati complotti per non turbare gli equilibri, per poi finire solo e dimenticato (com'è tipico di altri film del regista). Non sono convinto che l'idea di tirare avanti il tutto per più di tre ore abbia giovato ad una vicenda palesemente perfetta per essere narrata in forma di thriller, ma sono contento, dopo Silence e The Irishman, che Scorsese confermi l'abbandono degli indigesti ritmi dopati a cui ci aveva abituati nei due decenni precedenti.
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