Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Un film dalle ottime intenzioni, compromesso però dalla sua stessa lungaggine, nonché da una certa vena televisiva che il regista sembra ormai aver abbracciato sempre di più.
Tale vocazione, da film tv in due/tre parti ridotto in una lunghissima, si riconosce sia in certe musiche, a volte un po’ mosce e commerciali (per quanto la colonna sonora di Robertson sia nell’insieme eccellente, adattandosi bene a vari contesti); sia nell’occultamento di certi nodi grossi (lo sfruttamento cui di fatto sono stati oggetto gli Osage è sì presente, ma in modo un po’ secondario, nel complesso; a ciò si aggiunga l’ellissi, davvero censurabile, sul progresso dell’innamoramento dei due protagonisti, che si prestava a uno scavo ben maggiore); sia nella lentezza complessiva della confezione. Infatti la sceneggiatura è sempre in sordina, anche quando ci si aspetterebbe di vederla accelerare (come negli innumerevoli omicidi…).
Pare un gran melodramma, pieno di morti e malati: tecnicamente irreprensibile, per recitazione, musiche e altro, ma un po’ troppo televisivo, appunto, anche nell’indulgere sulle questioni sentimentali e familiari. Che sono gestite in modo interessante, e sono sicuramente importanti, per carità. Ma che qui hanno troppa preminenza, sia su ciò che è interessante in genarle, sia sugli aspetti storici, che pure sono prioritari in un film del genere. Molto girato poteva, e doveva, essere sfrondato.
Ciò detto, vanno evidenziati anche i pregi, che sono tanti. Innanzitutto l’esposizione onesta del punto di vista dei veri protagonisti della storia, le vittime: i pellerossa. All’interno di una storia vera, incredibile e interessantissima, gli indiani erano ricchi e privilegiati rispetto ai bianchi. Questi vengono mostrati per come storicamente sono stati: tutti no, ma come categoria lì sì, degli opportunisti, viscidi, invasori, laidi, fino ad essere criminali a tutto tondo. Insomma, la contrapposizione tra dei pellerossa semiprimitivi e dei bianchi più civilizzati è sempre stata utilizzata per mostrare la necessità del dominio dei secondi sui primi. Qui, con una lettura storica nella fattispecie inappuntabile, e che si è mostrata vera poi anche in molti altri confronti tra nativi e bianchi aggressori, Scorsese mostra la falsità di tale lettura storica, ad uso e consumo degli invasori.
Effettivamente le cose andarono come il libro, che è soggetto del film, indica: gli indiani erano padroni di una terra che si è rivelata ricchissima, per il petrolio. E vennero ammazzati a decine, sempre per impulso di mandanti bianchi, che mai vennero perseguiti. I nativi, uccisi per essere spogliati in modo silente dei loro legittimi patrimoni, non ebbero mai giustizia. Questo è il vero succo del film.
Persino il capo di questa associazione a delinquere formata da bianchi, interpretato in modo egregio da De Niro, può dire al nipote che dice di fidarsi della giustizia americana: «Non fidarti, ti ingannano. Sono loro, è sicuro, li conosco». Proprio in quell’illegalità di Stato, peraltro vera, e tipicamente americana ma non solo, egli stesso prosperò. Poté raccomandare al nipote di fare dei reati per bene: di non rischiare per robette di poco conto, ma solo per cose per cui valesse, sforzandosi poi di non rischiare. L’illegalità ingegnerizzata, estesa a principio unico della morale, coperta dall’ipocrisia: la stessa polare del capitalismo che da tempo stradomina, specie nella sua versione americana. Una denuncia che è un tratto tipico del cinema di Scorsese.
Ma anche molti pellerossa hanno le idee chiare su questa disastro: l’elemento bianco è molto peggiore del loro, moralmente. E non conveniva loro farsene sopraffare, come poi accadde, sebbene nei modi apparentemente gentili, ma calcolatissimi, di De Niro. «I nostri figli saranno educati dai nostri oppressori – dicono - Non abbiamo mai pregato per una vita ricca, ma per una vita», ricordando che non li ha guidati l’amore per il denaro, come i bianchi, ma solo l’amore per la vita.
Questi bianchi compiono calcoli continui, a danno di altri, con una doppiezza impressionante, per freddezza e disinvoltura.
In questo quadro disumanizzato, ben costruito è l’intreccio tra l’amore e il sospetto di avere nemici in casa propria, in particolare tra chi dice di amarti. Addirittura si uccide chi si ama, solo per soldi: perfino i figli, come confessa un sicario assoldato tra i tanti. Questi killer sono poi tutti invischiati nel crimine, al fine di prosperare o anche solo di sopravvivere, abbrutiti come sono in mezzo a miserie morali ed economiche: non possono uscirne, è una spirale che li rovina, sempre in peggio. La loro debolezza viene strumentalizzata di volta in volta dal burattinaio, De Niro. Che però alla fine non può non pagare, talmente tanti sono i nemici che si è fatto.
L’immoralità occidentale è ben raffigurata da Scorsese anche in questo: avvocati che obbligano a mentire (Brendon Frazer ottimo in questa parte secondaria). Si mente tanto più, quanto più si promette di non dire più bugie, come fa un Di Caprio perseguitato dalle conseguenze proprie malefatte. Un Di Caprio incattivito e imbruttito, con un insistito ghigno da cernia. Afflitto da una disperazione coperta dall’alcol, dalla dipendenza, per lui e per tanti altri bianchi come lui, esattamente per gli Osage.
Insomma, un ritratto corale intriso del più fosco pessimismo. Tutti sono ingannati dalla propria superbia, dalla presunzione di essere miglior di altri perché più furbi o più fortunati. Tutti disperati. Tutti compressi in un gorgo che è più forte di loro stessi. La loro stessa avidità si ritorce contro loro tessi, schiacciandoli. Quasi nessun personaggio è positivo, qui. Forse l’eroe è solo il poliziotto mandati a chiarire, ma neppure tanto: la sceneggiatura (che poi segue la storia vera) non impernia su di lui il riscatto di un miglioramento serio, al tempo stesso individuale e collettivo.
Il noto disincanto tragico scorsesiano ha trovato un altro soggetto in cui incardinarsi. Esteticamente inappuntabile, nella resa del mondo di cento anni fa. Ma, pur cambiando i soggetti, non cambia il giudizio assai negativo sulla natura umana, da parte del regista.
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