Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
AL CINEMA
La barbarie della razza bianca nei confronti di quelle che ella ha per troppo tempo considerato inevitabilmente rivali e minori, trova riscontri sempre più oggettivi ed eclatanti nei racconti che la letteratura ha trasformato talvolta in romanzi di denuncia, imperniati su fatti e testimonianze che altrimenti correrebbero il rischio di venire dimenticati o perduti nell'ambito di una più generalizzata operazione di sudditanza etnica generalizzata di cui è piena la storia dell'essere umano dalla notte dei tempi ai nostri giorni.
Dall'omonimo romanzo di David Grann, che fa luce su un vero e proprio sterminio perpetrato dai bianchi ai danni della ormai già all'epoca minoranza etnica dei nativi nella contea statunitense di Osage, una volta che questi ultimi, scoperto che il sottosuolo arido ed apparentemente privo di ogni valore commerciale entro cui sono stati relegati dai bianchi conserva ingenti giacimenti di petrolio ribollente e pronto a fuoriuscire, si sono arricchiti a loro scapito, ne costituisce esempio illuminante, oltre che tragico.
Questa violenta vicenda, rimasta per molto tempo non solo impunita, ma persino completamente ignorata da parte delle autorità locali, sempre protese a trasformare in incidenti o fatalità le morti violente che si susseguirono in quei furenti anni '20 del '900, pone al centro della storia il ritorno dalla guerra del codardo ed avido Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), un soldato che decide di tornare a trovare il ricco zio possidente di un grande allevamento, William Hale (Robert De Niro), fermamente deciso a tenersi apparentemente fuori dallo spietato mondo dell'estrazione petrolifera, ma proteso in tutti i modi a divenire l'indiretto beneficiario di quelle fortune così irruentemente apparse dal sottosuolo.
Anche inducendo l'ingenuo nipote a sposare una facoltosa giovane di nome Mollie (Lily Gladstone, già nota per aver partecipato a due notevoli film di Kelly Reichardt, Certain Women e First Cow) trovatasi ricca da un giorno all'altro, per poterne aver traslati i diritti di sfruttamento piovuti come una manna oleosa e nera senza preavviso né volontà.
Ernest diventa l'arma, più o meno consapevole, con cui lo spietato allevatore Hale si fa strada per far suoi i diritti di sfruttamento di quelle nuove miniere di oro nero, tra violenze e ammazzamenti senza soluzione, avvelenamenti progressivi astutamente indotti e pianificati dal tremendo zio ai danni della già cagionevole moglie dell’ingenuo nipote affinché questi possa ereditare ed impadronirsi del giacimento.
Dopo molte vicissitudini, che hanno visto partire il progetto di costruzione di questo nuovo stupendo lavoro di Martin Scorsese, se vogliamo la sua prima incursione nel mondo western, sin dal lontano 2017, ovvero l'anno in cui fu distribuito il bestseller omonimo di David Grann, Killers of the Flower Moon esce in sala grazie a Apple che è riuscita a sostenere un budget lievitato oltre misura, non foss'altro per la presenza dei due grandi divi sopra menzionati.
Martin Scorsese si prende tutto il tempo necessario e si lascia contagiare da una voglia di raccontare che richiede, più che impegno, una predisposizione dello spettatore a lasciarsi trasportare entro una società devastata da una febbre da oro nero che ha trasformato tutti in mostri ricchi ed avidi, disposti a tutto pur di mantenere il proprio status a danno degli altri.
Leonardo DiCaprio, coinvolto nel progetto anche nel ruolo di produttore esecutivo e per la settima volta alle prese con un film di Scorsese, si appropria di un personaggio da protagonista per la prima volta goffo ed ingenuo, credulone e sin inetto, se vogliamo neppure bello, e pure vigliacco ed approfittatore, e lo fa suo arricchendolo di connotati facciali che ne accentuano l'attitudine a farsi condizionare, manipolare e travisare nel grande inganno che lo vede prima coinvolto come mezzo di esecuzione, poi come un delle principali vittime di trame ben più alte ed oscure per essere state ordite ed attuate dalla sua figura poco brillante.
Al contrario Robert De Niro, alla decima collaborazione con il suo amato regista, è perfetto nel rendere, ancora una volta nella sua lunga e sfaccettata carriera di straordinaria star cinematografica, i tratti sadici e quasi diabolici di un personaggio davvero perverso, burattinaio azzimato e astuto da cui deriva molta parte di quella barbarie passata per troppo tempo come inosservata ed impunita.
E' nuovamente un grande film questa più recente opera di Martin Scorsese, che si fa coadiuvare saggiamente, in veste di sceneggiatore, dalla fluida capacità narrativa dell'ampiamente sperimentato sceneggiatore Eric Roth, e che fa seguito all'altro capolavoro indiscusso di quattro anni prima, ovvero l'altrettanto monumentale e difficile da realizzare The Irishman.
Nonostante la sin troppo puerilmente discussa pseudo problematica della lunghezza, il film riesce a far presa per il coinvolgimento con cui la vicenda finisce per inserirsi nell'animo dello spettatore, per la capacità del regista di alternare splendide ricostruzioni storiche e paesaggistiche, a momenti repentini di violenza che rendono perfettamente l'idea del devasto morale di una società ormai solo più legata a tematiche ed argomentazioni di profittabilità economica, e completamente avulsa da ogni più lontano legame con I sentimenti di una cristianità tanto sbandierata quanto completamente lasciata alla deriva.
Nel finale a dir poco magistrale, la rappresentazione cinematografica si interfaccia e fonde, non senza una celata ironia di fondo, con la magia della narrazione radiofonica, tutta incentrata sulla formulazione cadenziata dei rumori e delle esclamazioni che possano far dimenticare o mettere da parte, almeno per un attimo, l'aspetto visivo del racconto.
Il tutto ovviamente senza privarci di quest'ultimo aspetto più plateale e percettibile, con il regista stesso che interviene a fine rappresentazione, come un gran cerimoniere a cui si concede l'onore, peraltro dovuto, di concludere il dolente atto finale ed accomiatarsi con gli spettatori.
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