Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
In risposta ad un paio di domande sulla programmazione ho iniziato una breve conversazione con il gestore della sala che mi rendeva note le titubanze dietro l’espressione speranzosa “Killers of the Flower Moon è il film dell’anno”. “Quello che dovrebbe vincere gli Oscar!”. Poi guardandomi, la domanda, rivolta più a se stesso che alla platea, è stata: “godrà del seguito del pubblico?”. La mia risposta non l’ha rassicurato. “Tre ore e mezza sono, probabilmente, troppe”. All’uscita di sala ho trovato il “padrone di casa” mentre scambiava alcune opinioni. Con lui una coppia che discuteva della durata del film a loro dire eccessiva. Devo ammettere che a poche ore di distanza dalla visione dell’ultimo film di Martin Scorsese sono ancora frastornato, non tanto dai 206 minuti finali quanto da un insieme che tutto sommato mi è sembrato piuttosto insipido. Un’operazione ben confezionata ma senza slanci emotivi. Probabilmente rimarrò voce fuori dal coro ma devo ammettere una certa delusione per “Killer of the Flower Moon”, la stessa, benché per ragioni diverse, che angustiava il gestore ed i suoi ospiti, per altro veramente pochi nella giornata di uscita del film.
Il nuovo film di Martin Scorsese, con il quale il regista italoamericano torna finalmente in sala, racconta, adattando il titolo omonimo di David Grann (da noi “Gli assassini della terra rossa”) un’epoca inquietante della storia recente della Nazione Osage, che vive tutt'ora nella contea omonima dell’Oklahoma e che si riscoprì estremamente ricca negli anni ‘20 quando furono trovati immensi giacimenti di petrolio all’interno della riserva. Gli Osage divennero ricchi, iniziarono ad ostentare l’immensa fortuna ma dietro apparenze di adulazione e deferenza, la popolazione bianca, che mirava all’oro nero, divenne solo più furba e attenta a non far trapelare il proprio disprezzo. Attraverso il personaggio di Ernest Burkhart, interpretato da Leonardo di Caprio, un uomo poco sveglio e pusillanime, nipote di un magnate dell’allevamento, Scorsese affronta la sventura degli Osage, diventati ricchi petrolieri e vittime della cupidigia dell’uomo bianco.
Da un punto di vista civile “Killer of the Flower Moon” è un film che ha una sua valenza specifica perché le due dozzine di cadaveri che in quegli anni vennero rinvenuti in circostanze misteriose, o chiaramente assassinati, gridano ancora vendetta. Il consiglio tribale, costretto a rivolgersi al presidente Calvin Coolidge ottenne, dopo infruttuose investigazioni private finite nel sangue, l’attenzione dell’F.B.I. (all’epoca chiamata B.O.I. ovvero Bureau of Investigation) di J. E. Hoover che inviò l’investigatore Tom White (Jesse Plemmons) ad accertare le cause di una così elevata, quanto sospetta, moria di indiani. Il film di Scorsese è animato da lodevoli intenzioni. Vuole togliere il velo ad un fatto realmente accaduto nell’Oklahoma razzista degli anni ‘20 ma non riesce veramente ad emozionare.
“Killer of the Flower Moon” è un film scontato. Sin dal primo colloquio tra Ernest Burkhart e lo zio Bill Hale tutto è già chiaro. Gli indiani sono le vittime, Hale è il cattivo mentre i fratelli Burkhart sono i suoi tirapiedi. Il primo non è una volpe, il secondo è pragmatico e fedele. Hale è interpretato da un irritante Robert De Niro, di cui capisco la necessità di lavorare, sempre e per forza, per pagare faraonici alimenti alle ex mogli, ma di cui non riesco a ricordare la perdita di autorevolezza sul campo. Il De Niro Corleone giogioneggia sin troppo baciando teste, sciorinando versi biblici e insinceri sentimenti di stima e di affetto.
Scorsese mette subito le carte in tavola, forse troppo presto. Una voce off racconta di cinque morti sospette ed un flash-forward anticipa i sospetti di Molly Burkhart (Lily Gladstone). Strutturato come un giallo moderno avremmo tuttavia il piacere di comprendere, per indizi ed elaborazione degli stessi, come si arriva alla soluzione del caso. Ed è forse qui che, a mio avviso, il film pecca maggiormente. La tensione non riesce a reggere le tre ore e mezza di durata su cui viene spalmata. Il tutto è piuttosto noioso. “Killer of the Flower Moon” è spesso trattenuto, evita di esporsi, di dichiarare apertamente e con scene forti quanto razzismo corra nel sangue degli abitanti di Fairfax. C’è un accenno alla mattanza dei negri e al Ku Klux Klan tuttavia mancano scene di odio razziale e violenza gratuita, quella che le cronache registrarono all’epoca dei fatti. Persino i dialoghi, che occupano tra campi e conteocampi un ruolo fondamentale, sono edulcorati. Non vengono utilizzati termini volgari ed offensivi. Scorsese sembra vittima del bon ton e della cancel culture imposta dal sistema (il film è prodotto da Apple n.d.r.). Il sostanza “Killer of the Flower Moon” non riesce a suscitare quel minimo di indignazione che ci si aspetta da un film che tratta tematiche forti come il razzismo e la perdita di dignità dei nativi.
Ci sono, naturalmente, dei pro, come in tutte le cose. Tecnicamente siamo di fronte ad un film eccelso. Realizzato con un occhio di riguardo alla ricostruzione di luoghi e ambienti. La frontiera americana è stata ricreata sapientemente tra costumi, scenografie, acconciature ed un commento musicale che mette d’accordo tradizione bianca e pellerossa. Leonardo Di Caprio, che oramai si può permettere di recitare per il solo Scorsese, appare bolso ed ingrassato. Il viso corrucciato, la bocca storta ed il sorriso stentato. Offre una sincera interpretazione di un uomo caduto nella ragnatela di un ragno astuto e capace di annientare, poco a poco, le proprie vittime. Forse la parte più pregevole del romanzo scorsesiano è rappresentata dalle caratterizzazioni dei personaggi secondari sui cui pesa maggiormente la necessità di una rappresentazione veritiera della frontiera americana, meschina, corrotta e razzista. Decantato come capolavoro a Cannes, atteso con impazienza da oltre 800 sale speranzose di tirar su qualcosa di più dal fondo del pentolone, “Killer of the Flower Moon” ha disatteso, al meno in parte, le mie spettative. Avrei preferito un film sporco e cattivo che andasse oltre ad una calcolata sufficienza. Volevo il solito Scorsese dirà qualcuno. Può darsi.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
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