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Dillinger è morto

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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La recensione su Dillinger è morto

di Antisistema
10 stelle

Assistere al niente durante l'intera notte di un'industrial designer (Michel Piccoli), vittima auto-consapevole dell'alienazione generata dalla società dei consumi, è l'estremo atto di sfida sfacciato posto dal cineasta anti-conformista Marco Ferreri, nei confronti dell'intera società capitalista e dei suoi soggetti, tramite Dillinger è morto (1963), la cui anti-narratività, nasconde un'invettiva forte all'annichilimento dell'essere umano non più esistente in quanto individuo, ma solo in quanto appartenente alla moderna società di massa. 
Girato quasi totalmente nella casa del protagonista (è l'abitazione dell'artista Mario Schifano, mentre la cucina è della casa di Ugo Tognazzi), a cui fa ritorno dopo una giornata lavorativa in cui si percepisce essere totalmente estraniato dal contesto, come se fosse un uomo che indossa le maschere da lui prodotte, che consentono la sopravvivenza anche se l'aria è alterata, simbolo dell'uomo moderno nella società industriale percepita dal regista come inadatto habitat degli essere umani odierni, sancendo così la prima metafora simbolica di cui è pregna l'intera opera. Il personaggio di Piccoli risulta estraniato dal contesto, con l'orecchio ascolta meccanicamente un saggio sull'alienazione scritto da un suo collega tratto da Hebert Mancuse, mentre con la mente è totalmente estraniato dalle parole che gli rimbombano nella testa prive di alcun significato, come il caotico panorama anonimo che egli scorge dall'alto del palazzo e mentre fa ritorno a casa in macchina. 
Ferreri fa il gioco delle tre carte, lo spettatore presume tramite Mancuse di trovarsi innanzi ad una pellicola politico-partitica (nella qual specie di orientamento comunista data la citazione); in realtà l'alienazione filmica ha ad oggetto non un uomo medio, ma un rappresentante dell'alta-borghesia, ben piazzato e ottimamente sistemato, il che rende ancor più contestataria l'opera, poichè lo straniamento oramai ha preso con sè tutte le classi sociali, comprese i fautori di esso, come il nostro protagonista totalmente immerso nella routine quotidiana fatta di discorsi pigri con una moglie (Anita Pallenberg) verso la quale non sente più nulla, una cena preparata a tarda serata e programmi idioti tramessi a getto continuo dalla TV. La scoperta casuale di una pistola contenuta in dei giornali riportanti l'omicidio del gangster Dillinger durante gli anni 30', dà una svolta inaspettata alla serata e alla vita dell'uomo. 
Non è un film che punta sui dialoghi, tralasciando la citazione diegetica iniziale che funge da supporto tematico dell'opera, ma comunque ascoltata con distacco dal protagonista, c'è da dire che il personaggio di Piccoli non sembra minimamente dare peso al verbo, quanto solo agli oggetti con cui entra in relazione durante la serata, arrivando a compenetrare una totale simbiosi tramite essi, soprattutto con la pistola verso la quale ha un ossessione malata, arrivando a smontarla, sgrassarla, pulirla, lubrificarla e ridipingerla secondo la sua ottica. 

 

Michel Piccoli

Dillinger è morto (1969): Michel Piccoli


Le parole volano al vento, i dialoghi risultano banali se non insignificanti e quanto si tenta di articolare un concetto tramite un costrutto dialogico, esse sembrano più dei rimbombi provenienti da chissà dove, un fastidio da sopportare per una mente annoiata, che non sa cosa farsene del tempo libero e risulta proiettata verso chissà quali orizzonti; tutto tranne ciò che c'è in quella casa, in primis una moglie perennemente in stato di sonno e vittima della bulimia della società dei consumi, nonchè la governante di casa Sabina (Annie Girardaut), la cui stanza è pieni di feticci spazzatura inculcati dalla società capitalista (arredi, il miele, il poster del cantante Dino etc...), conducendo al contempo una relazione clandestina con il protagonista, che altro non è che il caro do ut des di su cui si basano i rapporti umani, anche il tradimento coniugale in tale opera perde la sua connotazione trasgressiva, per essere ricondotto al mero rapporto padrone-serva, dal quale entrambi sembrano trarre vantaggio personale, ma alla fine Piccoli si rende conto che anche esso è inappagante, non conducendo a nulla. 
Il risveglio possibile per l'uomo sembra venire solo dal "cinema", ovvero dai filmati d'archivio delle sue vacanze, dove risuona la voce della moglie infastidita dalla videocamera, uando invece per Piccoli è l'unico momento della serata in cui si sente libero effettivamente, grazie al potere dell'immaginazione che si combina perfettamente con l'apparato audio fatto di numerose canzoni anni 60' che risuonano alla TV o alla radio (Rolling Stones, Lucio Dalla, Exiles, Ennio Morricone etc...), finito il quale ripiomba nuovamente nell'insoddisfazione fisica e morale della serata, il che lo porta a simulare un tentativo di suicidio, come conseguenza di una vita non vita, finchè non gli balena in mente una soluzione ben più definitiva, fautrice di una possibile libertà per sè stesso da tale società, sfociando in un finale enigmatico dove più soluzioni interpretative sono possibili (da quella più positiva, a quella del fallimento). 
Ferreri mette in scena limiti e contraddizione di un contesto sociale che oramai s'è fatto mondo, tramite un'eterogeneo campionario di elementi artistici che vanno dallo sperimentalismo più puro, sino alla pura avanguardia transitando anche per svolte pop, oppure miscelando tutte le cose, come nella sequenza della danza delle mani, che appartengono a Maria Perego, la creatrice di Topo Gigio, riferimento inaspettato per un regista che riesce a far coesistere l'intero spettro artistico in un'unica pellicola, il cui baricentro ovviamente risiede in un titanico Michel Piccoli, che fornisce una prova tutta fatta di sottrazione, il cui sguardo perso nella noia, la sua mente proiettata verso il niente a lui comprensibile e i suoi disperati tentativi di pronunciare qualcosa emettendo solo suoni incomprensibili, fanno di lui il perfetto rappresentando dell'uomo del 900' (ma anche di oggi) massificato da una società industriale per lui innaturale, ma in realtà introiettata a forza in lui, regalando quindi una delle più grandi prove della storia del cinema mondiale. 

 

Michel Piccoli, Annie Girardot

Dillinger è morto (1969): Michel Piccoli, Annie Girardot

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

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