Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
"Gli attori sono tutti di sinistra"
"E tu di che sei?"
"Io sono apolitica, il mio scopo è di piacere a tutti"
Pedro Almodovar dopo la parentesi 8 e 1/2 di Dolor y Gloria (2019), torna nel suo territorio di caccia preferito tramite Madres Paralelad (2021), un melodramma con venature anti-franchiste, dove la fotografa di moda Janis (Penelope Cruz), vicina ai quarant'anni, sente la necessità di riscoprire le origini di un passato doloroso, che l'attuale politica spagnola non sente la necessità di preservare, cercando di confinare la lunga parentesi di Francisco Franco (40 anni circa), nell'oblio, rinunciando ad iniziative atte a preservare la memoria storica, cosa nella quale la protagonista crede fermamente, per dare pace alla generazione anziana ancora in vita, che invece ha perso i propri cari durante la guerra civile del 1936-1939, per dare loro un riconoscimento ed una degna sepoltura, riesumandoli dalla fossa comune nella quale vennero gettati dopo essere stati sterminati dai soldati della falange.
Ma il passato non viene ritenuto fondamentale oltre che dalla politica, anche da gran parte della popolazione, specie dai giovani come Ana (Milena Smit), neo-diciottenne, da poco divenuta madre come Janis, con la quale ha stretto amicizia in ospedale nei giorni di attesa prima del parto, cementificando un legame duraturo, che sembra andare oltre il momento specifico; Ana forse per via della disastrata situazione familiare, fatta di un padre andato via anni addietro ed una madre che pur di seguire la sua ultima occasione come attrice teatrale, la trascura lungamente, fregandosene del momento delicato attraversato dalla figlia, la quale beatamente molla il tutto e su proposta di Janis, si trasferisce da lei, con il compito di badare alla piccola Cecilia.
Politica e maternità, s'intrecciano in un melodramma dal chiaro stampo sirkiano, dove la dimensione privata finisce inevitabilmente con il ripercuotersi nei confronti di quella sociale, Almodovar affronta la materia con mano registica sicura, non solo dal punto di vista estetico con il noto utilizzo di tonalità calde, ma anche nella gestione di situazioni potenzialmente devastanti (il film ne ha almeno un paio molto forti), vengono saggiamente trattenute, per far esplodere il dolore su un piano prettamente intimo, dove soffoca trattenuto a fatica dai singulti e dai singhiozzi delle due donne, senza mai esplodere in situazioni ultra-isteriche da lacrima movie con effetti nefasti da bomba Hollywoodiana, qui il dolore fa veramente male proprio perchè immanente ai singoli personaggi.
Se Janis è più emotiva, Ana ha oramai così interiorizzato la propria sofferenza, da essere una maschera apatica nell'affrontare stoicamente le molte avversità capitatale durante la vita, incurante nei confronti di un passato dal quale sente di dover tagliare i punti del tutto, ella si accende emozionalmente nel rapporto con Cecilia verso la quale ha un transfert materno, nonchè nel rapporto lesbico con Janis, in realtà abbastanza gratuito quanto buttato lì, poichè Almodovar approfitta troppo nel modo di aver scritto il personaggio, da compiere degli svarioni, andando troppo per accumulo di sventure fattuali, arrivando a buttare nel mezzo uno stupro trattato in modo superficiale, facendo percepire tale atto come un qualcosa da nulla (per Ana è poca roba), chiudendo il tutto con un sorriso della ragazza rivolto alla foto del probabile padre di sua figlia, arrivando così ad assolvere l'orribile gesto, che a conti fatti, nonostante la gravità, ha un peso narrativo ed emotivo nullo, cosa intollerabile per una pellicola del 2021.
Fortunatamente, in più punti Almodovar dimostra di avere la padronanza registica adeguata, per non far soppesare in modo disastroso tali scelte di scrittura ai fini del racconto, puntando ad asciugarle tramite la messa in scena e la direzione attoriale di Penelope Cruz (premiata a Venezia) e Milena Smit, quest'ultima una vera rivelazione che bilancia adeguatamente la propria partner, il vero peccato è stato aver sfruttato molto poco Aitana Sanchez Gijon, molto incisiva nelle pochissime scene a disposizione, dove spiace quindi il non aver sfruttato maggiormente la sua linea narrativa, che offriva spunti molto interessanti nel ruolo di madre di Ana, protagonista tra l'altro di un dialogo più ispirato di tutta la pellicola, una frase degna della penna di un Billy Wilder, dove in una frase lapidaria c'è tutto un pensiero sul mondo, dove emerge appieno la sua distanza dalle ideologie, comportando così il non dover mai fare una scelta di campo netta, badando solo a sè stessa; evidentemente ad Almodovar i seguaci della post-ideologia non devono stare troppo simpatici, essendo legato ad una concezione del mondo destra-sinistra, tipica della generazione a cui appartiene, la quale ha vissuto in prima persona gli orrori della dittatura, il che conduce ad un finale molto sentito a livello emozionale da un Pedro Almodovar, che mette insieme varie generazioni di spagnoli; non si può costruire alcun futuro senza una seria riflessioni sulle proprie radici, anche se affondano nel dolore più estremo.
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