Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Venezia 78. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Nel cinema di Pedro Almodovar sono spesso gli incontri occasionali, e ciò che ne consegue, ad imprimere un cambio di rotta nelle vite dei protagonisti. La notte d’amore tra due giovani in treno in “Julieta”, l’incontro a teatro tra due uomini in “Parla con lei” sono esempi dal fato che irrompe casualmente con il suo carico di amori e dolori nel percorso di uomini e donne. I film del maestro spagnolo sono connessi da questo trait d’union e “Madres Paralelas”, suo ultimo lavoro, che lo ha visto tornare in concorso a Venezia, a 32 anni di distanza da “Donne sull'orlo di una crisi di nervi”, non poteva sfuggire all’ordine naturale e almodovariano delle cose.
Una finestra aperta e una tenda immacolata che svolazza in strada con ampie volute celebra l’intenso piacere di un incontro fugace. Sette minuti, dice la scienza, sono sufficienti ad un uomo per esplodere di piacere. E sette minuti bastano perché la vita di una donna cambi per sempre. Lui è Arturo mentre lei è Janis. Si incontrano per lavoro, lui è un antropologo forense, lei una fotografa e attivista politica, e da quel gaudio di pochi minuti nasce una nuova vita che Janis decide di tenere senza coinvolgere l’uomo nelle sue decisioni. L’amplesso tra Janis e Arturo apre a nuovi scenari compreso l’incontro, altrettanto fortuito, tra Janis e la giovanissima Ana che condividono la camera d’ospedale alla nascita delle loro figlie. Ana e Janis si incontreranno, di nuovo, più tardi, e persino Arturo, utile all’inizio solo in camera da letto, ritornerà per chiudere il cerchio attorno all’energica fotografa e alla sua storia di perdite e dolori familiari.
Almodovar torna con un film fortemente politico come non accadeva da anni. Transgender, rapporti lesbici, umiliazioni inflitte alle donne dalla Chiesa sono alcuni riferimenti alle tematiche LGBTQ e alle ben note posizioni anticlericali spesso esplicitate in passato. Stavolta però sono offuscati da una presa di posizione antifascista che non ricordavo così forte da tantissimo tempo. Tanto forte da fare nomi e cognomi e scomodare Mariano Rajoy reo di aver tagliato le sovvenzioni pubbliche per recuperare la memoria storica del paese. Almodovar tocca la ferita, mai del tutto risanata, del franchismo e della guerra civile denunciando le epurazioni durante la guerra. Il nonno di Janis giace sepolto in una fossa comune ma la comunità in cui vivono i suoi famigliari non riesce ad accedere ai fondi per organizzare lo scavo archeologico che restituisca i corpi ai discendenti delle vittime. Sulla necessità di riesumare la memoria storica messa a tacere da una coltre di terra, Almodovar, molto abile a coniugare il pubblico con il privato, costruisce una storia che parte dall’esterno, dalla comunità civile, per trasformarsi in un affare privato ed intimo fino all’esplorazione del profondo significato di un’epifania, troppo tempo rimandata, che coinvolge l’anima di un’intera collettività chiamata ad onorare i propri caduti.
Il percorso personale di Janis, di Ana, di Arturo, di Teresa, le loro distanze, le loro lacrime, i loro profondi drammi d’amore, che il regista spagnolo narra con il consueto taglio melodrammatico, sono il mezzo, non lo scopo, che consente di riavvolgere il nastro e tornare al passato in funzione del presente. Almodovar non dimentica di ricordarci che le violenze perpretrate in passato non sono così diverse dallo stupro subito da Ana e dalla tragedia di sua madre Teresa colpevole di essere donna e artista.
Bravo ad evitare le secche melmose del déjà vu, che appare come un pericolo più che reale quando la scena si trasferisce in ospedale, Almodovar cambia rotta, dilata la narrazione per un tempo piuttosto lungo, quanto basta a rendere meno teatrale il proprio melò, ed approda ad un epilogo commovente, ma amaro, che desti le coscienze. Scavando nel passato si gettano le basi del futuro. Guai, però, a sedersi nel contemplare il falso senso di sicurezza effuso dalla conoscenza della storia perché gli estremismi del passato sono sempre in agguato, pronti a colpire al primo segno di distensione. Le fosse appena riaperte, e svuotate da un carico opprimente di sentimenti, possono tornare a riempiersi ed ospitare nuove vittime e nuove tragedie. Almodovar inquadra la fossa comune in un finale poetico e dirompente in cui i suoi meravigliosi personaggi legano il presente al passato e, perché no, all'incerto futuro.
Coppa Volpi alla battagliera Janis di Penelope Cruz e, idealmente, alle madri parallele del racconto che non hanno mai smesso di portare in dote l'amore nonostante il dolore subito.
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