Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Come sempre accade con Pedro, inizialmente uno, stordito, esce dalla sala (anche del PalaBiennale della Mostra del Cinema di Venezia), pensando: ah, non si rinnova mai, il solito melodramma già visto, quasi da fiction. Poi, dopo qualche ora, nella sua anima lo rivede e si ravvede. Ancora una volta, capolavoro sensazionale.
Ebbene, dopo un’interminabile attesa e malgrado alcuni forti disagi ravvisati a livello organizzativo, è iniziata finalmente la 78.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che ha inaugurato con la nuova opus del celebrato settantunenne Pedro Almodóvar, ovvero Madres paralelas.
Madres paralelas del grande Pedro, regista che, di certo, oramai non ha più bisogno di presentazioni, in prossimità del suo vicinissimo compleanno che cadrà in data 25 Settembre del mese per l’appunto corrente, indiscusso e sacrosanto premio Oscar alla miglior sceneggiatura originale per Parla con lei e autore di straordinarie opere altresì altamente controverse ma al contempo perennemente contrassegnate dalla sua poetica inconfondibile e dalla sua distinta cifra stilistica che, forse soltanto alla pari di Woody Allen, ne fanno uno dei pochissimi cineasti al mondo i cui film sono perfettamente riconoscibili anche solo dopo pochissimi fotogrammi. Parimenti ad Allen, Pedro dirige e scrive i suoi film pressoché basandosi esclusivamente su materiale estremamente originale, nel suo caso più che peculiare. Pedro Almodóvar, peraltro recentissimamente onorato, cioè soltanto due anni fa, esattamente alla kermesse del Lido, col Leone d’oro alla carriera.
Con Madres paralelas, ovviamente, non smentisce la sua fama di cineasta fedelissimo alla propria lucidissima visione cinematografica inconfutabilmente personale.
Madres paralelas, in Concorso a tale settantottesima edizione del Festival di Venezia, ha dunque aperto le danze dell’appena succitata manifestazione. Colpendo forte allo stomaco, così come sovente accade con ogni pellicola di Almodóvar, con una strana, contorta, fascinosamente perversa, tipica sua vicenda torbidamente generata dal suo più o meno altalenante talento registico che, fra colpi di scena sorprendenti intervallati ad altri forse leggermente telefonati, eppur sempre efficaci, fra l’esplodere grottesco e improvviso dell’inevitabile dark humor emblematico del suo Cinema a fortissime tinte melodrammatiche a loro volta intarsiate e centrifugate in un vortice di vigorose emozioni veracemente incredibili, a prescindere dai gusti, come di consueto c’ha ipnotizzato e incollato allo schermo per due ore nette di pura follia, perfino sfiziosamente malsana, intrisa di parentesi esilaranti, mixata a struggente eleganza di rara delicatezza visiva e, per l’appunto, emotivamente toccante e spiazzante.
Madres paralelas, se volessimo sintetizzarlo brevemente per quanto concerne la trama (compito sempre comunque arduo nel caso di Pedro Almodóvar poiché, inutile rimarcarlo, ogni suo film contiene, al suo interno, una miriade di micro-storie incastrate a mo’ di matriosche e arzigogolate sotto-tracce a prima vista imprevedibili), narra della rocambolesca, amabile e allo stesso tempo assai dolorosa e forse rivelatrice avventura esistenziale di due donne di Madrid, cioè la fotografa Janis (Penélope Cruz) e della minorenne Ana (Milena Smit). Entrambe rimaste incinte e, per curiosa fatalità del destino loro strambo, all’unisono partorenti, nella stanza d’ospedale, due splendide neonate. Terminato il parto, le strade delle due donne, distanti per età anagrafiche e per background sociale, paiono naturalmente allontanarsi, dato che, al di là dell’estemporanea contingenza per cui condivisero la stessa esperienza del vivere la gioia della maternità nel suo attimo più prodigioso, erano e sono perfette estranee sotto ogni punto di vista. Forse, durante il loro scioccante e perturbante percorso di vita, i loro destini però nuovamente s’incroceranno in modo all’inizio disturbante e poi, via via, sempre più avvicinante i loro senzienti, sussultanti cuori in modo appassionante. Non finisce qui, in questo melò straordinario, un ruolo più che determinante l’avrà Arturo (Israel Elejalde), esperto di scavi archeologici, mentre l’insospettabile, eterna aspirante attrice di Teatro di nome Teresa (l’indimenticabile e qui rediviva Aitana Sánchez-Gijón, Il profumo del mosto selvatico, ancora incantevole e bellissima), forse, nasconde non pochi scheletri nell’armadio. Infine, chi è davvero Ana?
In verità, nessuno di noi è quello che sembra in quanto Pedro Almodóvar, firmando e regalandoci un altro capolavoro di tatto e sensibilità magnifica, pieno di risvolti mirabolanti, cambiando improvvisamente e totalmente rotta negli ultimi dieci minuti di Madres paralelas, nuovamente c’insegna che quello che conta nella vita è la vita stessa.
Il resto è solo morte, la morte vera su cui non bisogna scherzare. Ma la vita stessa, per l’appunto, è pazza di suo, inutile pianificarla, è difatti ricolma di contrattempi, di sorprese dolceamare e non, d’eventi incalcolabili che, addirittura, di primo acchito potrebbero sembrarci tragici, invece possono essere se non salvifici, perlomeno d’amare e d’accogliere, lasciandosi andare piacevolmente senza rimuginarvi e riflettervi con amarezza stagnante, episodi di vita su cui sdrammatizzare, ridere o interminabilmente piangere dirottamente.
Nel bene e nel male, questa è infatti la vita nella sua esemplare nitidezza ineludibile e Madres paralelas è forse l’essenza limpida del grande Cinema che non ha bisogno di riprese troppo sofisticate, di effetti speciali spettacolari, per illuminare di poesia la nostra stessa esistenza. Ché essa stessa è Cinema.
Cos’è, in fondo il Cinema, se non l’incarnazione di ciò che per Pedro Almodóvar è a sua volta la vita?
Cioè un viaggio squinternato e perturbante nell’animo umano, quello vero, detonante di slanci euforici immensi e poi l’itinerario di un terribile salto nei quotidiani dolori strappalacrime più magniloquenti.
Un viaggio anche nella memoria di traumi giammai risolti e della Storia, non soltanto personale, di ognuno di noi. Poiché Madres paralelas diviene, in crescendo, un commovente omaggio a tutte le vittime innocenti del regime franchista, accecandoci di stupore e sterminato dolore infinito in una meravigliosa scena che c’ha ricordato, immantinente, Schindler’s List.
Dunque, se Madres paralelas riesce a essere un drama-comedy angosciante e scoppiettante, un labirintico trip psico-emozionale dei più superlativamente potenti e al contempo un urlo di rabbia spaventosamente bello sull’uomo, sulle sue piccole o grandi tragedie e sulla stranezza imponderabile della vita, inutile dire che la parola capolavoro perfettamente gli si addice.
Penélope Cruz è già da Coppa Volpi. Sicuramente, non stiamo esagerando, possiamo inoltre già tranquillamente considerarla appartenente alla futura cinquina delle attrici che, ai prossimi Oscar, si contenderanno la statuetta.
di Stefano Falotico
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