Regia di Fred Walton vedi scheda film
Tratto dal romanzo dell'ex prete William X. Kienzle, diretto da Fred Walton, segnalatosi all'attenzione del pubblico con il thriller "Quando chiama uno sconosciuto" del 1979, oltre che regista di alcuni episodi del celebre telefilm "Alfred Hitchcock presenta", sceneggiato dallo stesso regista e dal grande Elmore Leonard (più noto come narratore - dai suoi racconti sono stati tratti, per esempio, "Get Shorty", "Out of sight" e "Jackie Brown"). "I delitti del rosario" è un interessante ed onesto giallo religioso sulla falsariga di "Io confesso" di Alfred Hitchcock (un sacerdote è vincolato dal segreto confessionale e non può denunciare il colpevole che così può continuare ad uccidere). Di solida fattura, dalle atmosfere intriganti, con una tensione che non cala mai ed alcuni colpi di scena ben calibrati e funzionali. Se il limite di molti thriller, soprattutto recenti, consiste nel fatto che, costruiti bene per tre quarti, deragliano rovinosamente quando devono tirare le somme, a causa di soluzioni improbabili quando non ridicole e ad un accumulo indigesto ed immotivato di sorprese, il grande merito del film di Walton è di non volere strafare. Si segue un percorso narrativo lineare, intelligente, di una logica impeccabile (ed in questo senso si sente la mano sicura di un abile romanziere noir come Leonard). L'assassino così agisce sulla base di motivazioni che non sono campate per aria o maldestramente forzate, ma trovano una loro lucida ed, ai suoi occhi, giustificata coerenza con il suo drammatico e malato passato. L'odio ed il rancore che il killer nutre nei confronti dei religiosi diventa così sia uno strumento per vendicarsi della loro inettitudine, negligenza ed approssimazione, sia soprattutto il mezzo per esorcizzare la propria atroce colpa di padre deviato e violento, nella vana speranza di dare un pò di conforto e pace alla sua anima travagliata. Può sembrare una banalità, ma per un genere come il giallo, dalle regole ben precise, non ricorrere alla consueta e facile scorciatoia della follia o della depravazione dell'assassino in base alle quali tutto poi è concesso e/o ammesso, ma dare, per così dire, un senso alle sue azioni criminali, diventa un elemento fondamentale per la riuscita complessiva di un film, soprattutto per non deludere amaramente lo spettatore che si attende, prima di tutto, attendibilità e verosimiglianza. E' l'elemento che rende ancora oggi, per esempio, i romanzi di Agatha Christie formidabili ed inattaccabili sotto il profilo dell'intreccio. Forse ad un pubblico moderno, abituato ai ritmi forsennati, ai continui cambi di scena, a sequenze frenetiche e fracassone, ad abusi di sangue e violenza, ad eccessi di ogni tipo e genere, spesso al limite della caricatura, un film come "I delitti del rosario" può apparire datato e lento - ed effettivamente la prima parte è un pò troppo meccanica e ripetitiva - ma nel complesso, all'interno di una struttura tradizionale ed affidabile, si rivela un racconto sorprendente e fascinoso, avvincente ed ambiguo, anche malinconico e doloroso, capace di trattare temi scomodi (l'incesto, i dubbi di un religioso alle prese con confessioni pericolose) senza inutili volgarità e senza scadere nella facile provocazione. Molto ben delineato poi è il personaggio di Padre Kosler (un eccellente e misurato Donald Sutherland) sacerdote progressista, pacato, liberale e sensibile che predica, con semplicità ed umiltà, il perdono, la compassione, la carità, la comprensione, ed assai critico nei riguardi di certe obsolete posizioni ecclesiastiche. E così all'inizio abbraccia felice e partecipe una sorella della congregazione che gli ha appena comunicato l'intenzione di lasciare l'ordine, perché innamorata di un uomo con il quale intende sposarsi, esprimendogli altresì il desiderio che sia proprio lui ad accompagnarla all'altare. Celebra in gran segreto il battesimo di un piccolo "bastardo", come lo chiama l'ultra conservatore e duro parroco Nabors (il solito gigante Charles Durning) che, sulla base delle sue rigide ed anacronistiche convinzioni, aveva negato seccamente al bambino il sacramento, solo perché concepito distrattamente durante un rapporto occasionale e soprattutto fuori dal matrimonio: per padre Kosler invece diventa fondamentale preoccuparsi molto di più "della pace della mente che non dei piaceri della carne". E' sempre Padre Kosler, moderno Padre Brown, che, con le sue indagini, non solo mira a scoprire l'identità dell'omicida ed i moventi che stanno dietro alle sue violente azioni, ma cerca anche di fermarlo per dargli quell'aiuto spirituale e quel sostegno morale che era incredibilmente mancato all'uomo ed alla figlia quando già in passato si erano rivolti a dei religiosi, ricevendone solo assurde e sbrigative assoluzioni o infastidite ed irritate accuse. Ed il film è tutt'altro che convenzionale e scontato nel delineare il fondamentale e rigoroso ruolo di guida etica che un sacerdote o una suora possono e devono avere nella gestione di una comunità. Un ruolo che richiede una capacità di ascolto e di attenzione non comuni, ma che troppo spesso viene ricoperto in modo superficiale e menefreghista, senza tenere conto di quali conseguenze possa avere, su persone fragili ed in difficoltà, un atteggiamento non adeguatamente ponderato e partecipe. I sermoni pomposi di Padre Nabors, sempre uguali a se stessi, pieni di parole altisonanti e retoriche, invocano principi universali e riconosciuti, ma risultano del tutto aridi, privi di anima, e soprattutto incapaci di comunicare il vero messaggio evangelico. Discorsi vuoti, sterili e fini a se stessi, tipici di chi predica bene ma razzola molto male. E così anche i cinque Padre Nostro e le cinque Ave Maria che costituiscono l'abituale penitenza post confessione, di frequente esprimono solo un comodo atteggiamento "alla Ponzio Pilato" che non aiuta e sono in ogni caso ben lungi dal rappresentare la reale soluzione dei problemi di chi non solo chiede un conforto ed un sostegno, ma spesso desidera anche essere scosso e/o redarguito, per cercare di ritrovare la giusta via. Significative in questo senso sono non solo le ripetute discussioni tra il protagonista ed il suo parroco sul diverso modo di intendere la fede, ma anche l'intenso dialogo tra Padre Kosler, seduto su una scala e piuttosto scosso per la sconvolgente confessione che ha appena ricevuto ed un suo anziano superiore a cui ha chiesto un consiglio su come comportarsi (bella ed efficace, tra l'altro, la metafora del vino usata da Kosler) e che gli ricorda, in modo piuttosto distaccato ed indifferente, che loro principale compito è salvare anime, non vite. Al di là di queste considerazioni comunque l'opera di Walton vale anche come vibrante film di genere. Tra i momenti più riusciti da segnalare la visita notturna di Padre Kosler al cimitero: l'uomo trova la tomba della sedicenne, suicidatasi tre anni prima, con davanti quattro rose bianche a simboleggiare gli omicidi già compiuti dal killer, quando, d'improvviso, viene colpito alle spalle e sente una voce che nel buio gli sussurra il nome della quinta vittima, una suora uccisa quella stessa notte. L'ingresso clandestino del protagonista nella casa dell'assassino: un'atmosfera silenziosa interrotta dalla comparsa inattesa del killer, nascosto immobile dietro ad una porta. Brividi anche quando Kosler vede una rosa bianca identica a quelle viste davanti alla tomba della ragazzina sul tiro a segno della sua stanza. Geniale l'idea di collegare i nomi delle vittime in qualche modo ai 10 comandamenti. Non essenziale ma nemmeno fastidioso invece il personaggio della giornalista Pat, ragazza sfortunata e dal passato burrascoso ed irregolare (bella, nella sua delicata intimità, la sequenza in cui si confessa) innamorata, senza speranza, del solo uomo che è stato capace di ascoltarla e capirla. Saggiamente si evitano comunque parentesi alla "Uccelli di rovo". Infine un particolare secondario, ma molto personale: per chi come me è stato chierichetto, è davvero facile identificarsi in quel simpatico ragazzino che, durante la celebrazione del venerdì santo, non riesce a tenere gli occhi aperti e, addormentatosi di colpo, fa cadere inavvertitamente la croce sulla schiena del parroco. Ironico infine il nome del direttore della fotografia: David Golia, giusto per rimanere in tema biblico. Premio del pubblico e menzione speciale per la sceneggiatura al Festival del Cinema Poliziesco di Cognac.
Voto: 7
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