Regia di Arturo Ripstein vedi scheda film
Procede quieto, scosso da un rancore sordo e dalla disperazione ineluttabile della vecchiaia. Ogni venerdì, attaccato alla dignità ormai lisa del suo abito buono, il colonnello va ad attendere la lettera che gli annuncia, finalmente, l’arrivo di una pensione promessa da molti anni e mai versata. Lo sanno tutti che non la riceverà mai, tutti gli abitanti del paese e la moglie smagrita, che continua a chiedersi «Cosa mangeremo?». Ma il colonnello è attaccato a un mondo di parole date che non esiste più, è attaccato alla moglie e a un gallo da combattimento che si illude possa riscattare la sua vecchiaia con una vittoria. Tratto dal romanzo di Gabriel García Márquez, il penultimo film di Arturo Ripstein (l’ultimo, “Asi es la vida“, era quest’anno a Cannes) è ostinato e laconico come il suo protagonista, un film fatto di sfumature, di interni fatiscenti, del viso disfatto di Marisa Paredes e di quello solare di Salma Hayek e, soprattutto, dello sguardo ostinato, del decoro rappezzato, del disincanto non rassegnato del protagonista Fernando Luján. Non fiammeggiante ed eccentrico come altri film di Arturo Ripstein, ma pieno di desolazione e rabbia quotidiana: «Mangeremo della merda!».
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