Regia di John Harrison vedi scheda film
Film ad episodi composto da tre cortometraggi, di 30 minuti circa l’uno più un quarto corto che funge da “collante” dell’intera pellicola, affidato alla regia del debuttante e poco prolifico (ma che fine ha fatto?) John Harrison.
Il primo episodio, “Il Lotto 249”, è tratto da un romanzo di Arthur Conan Doyle (il creatore di Sherlock Holmes) ed è sceneggiato da Michael McDowell. Il soggetto pecca di originalità e questo tende a ripercuotersi sulla visione del corto. Anche la regia di John Harrison non è particolarmente brillante, sebbene riesca in alcuni momenti a creare una atmosfera sufficiente (vedi le scene in cui si vede l’ombra della mummia salire le scale). Maluccio (stranamente, vedremo poi perchè) anche il make up con una mummia che si rivela decisamente grottesca e tutt’altro che credibile. Non si affonda neppure nel gore (e certamente non per una scelta dei produttori) nonostante gli omicidi siano commessi con modalità assai cruente (ad una vittima viene asportato il cervello con un gancio di ferro infilato nel naso, un’altra viene pugnalata alla schiena), presente tuttavia una “sforbiciata” in primo piano sulla schiena della Moore e una porzione di cervello posizionata nel contenitore della frutta. Di ottimo livello il cast artistico che annovera attori del calibro di Christian Slater (“Il Nome della Rosa”), Julianne Moore (“Psicho”, “Hannibal”, “Jurassic Park – Il Mondo Perduto”) e soprattutto di Steve Buscemi (“Le Iene”, “Desperado”, “Fuga da Los Angeles”) che si rivela il migliore del lotto. Colonna sonora, firmata dal duo Jim Manzie e Pat Regan, anonima. Senza dubbio “Il Lotto 249” è il corto meno incisivo del trittico e non va oltre ad una sufficienza striminzita.
Il secondo episodio (“Il Gatto Nero”, nulla a che fare con lo splendido racconto di E.A.Poe), invece, è un autentico gioiello di tensione e di ritmo con “sgraffiature” (mai come in questo caso il termine può esser più appropriato) di puro terrore che meritano di esser ricordate in una virtuale galleria degli orrori. Il corto è stato tratto da uno dei tanti racconti del moderno re del brivido, cioè Stephen King ed è probabilmente contenuto nella sua antologia “Incubi e Deliri”. A valorizzare al massimo l’ottimo soggetto del “Re” ci pensa addirittura il grande George A. Romero (due anni dopo girerà il sopravvalutato “La Metà Oscura”, film sempre tratto da un lavoro di Stephen King) a cui viene affidata la sceneggiatura (contiene qualche velata critica all’aristocrazia e alla sperimentazione di medicinali sugli animali). Ottima anche la regia di Harrison (bellissime le scene girate dalla soggettiva del gatto) e la fotografia bluastra di Robert Draper (che offre il meglio, come confermerà il terzo episodio, nei corti “notturni”), per non parlare dei numerosi tocchi gore, affidati al make up curato dal trio Robert Kurtzman, Greg Nicotero e Howard Berger, che raggiungono l’apice negli ultimi due disturbanti (anche per gli abituati al genere) assassinii. Più che sufficiente la colonna sonora di Chaz Jankel, buone le interpretazioni e le scenografie. Davvero imperdibile e ipercoivolgente.
L’ultimo corto, “Le Promesse degli Amanti”, ha degli spunti davvero notevoli soprattutto dal punto di vista visivo con gli addetti al make up (gli stessi sopra menzionati) che si rendono protagonista di una delle migliori trasformazioni (mi ha fatto tornare in mente lo splendido lavoro di Stivaletti in “Demoni”) da uomo a bestia (in questo caso un Gargoyle) di sempre, seconda, forse, solo a quella ammirata in “Un Lupo Mannaro Americano a Londra”. Non manca anche in questo caso il gore con decapitazioni, amputazioni di arti e volti scarnificati in primo piano. Bella l’atmosfera e la fotografia, poco sviluppata, invece, la sceneggiatura di Michael McDowell che ha però il merito di aver elaborato un buon soggetto (l’unico originale dei tre). Mediocre la colonna sonora dello stesso regista John Harrison che se la cava indubbiamente meglio dietro la mdp.
In definitiva, “I delitti del gatto nero” è una raccolta di cortometraggi ingiustamente snobbata dagli amanti del genere che parte in un modo monocorde con un primo episodio tutt’altro che trascendentale, ma che prosegue con un autentico gioiello orrorifico di pura tensione del quale Harrison può andarne fiero (vista anche l’ottima regia) e si conclude con un capitolo affascinante che fa del make up la sua arma di forza. Peccato per l’assenza di colonne sonore all’altezza della situazione. Per un fans del genere horror è da avere in videoteca sebbene non sia considerata una pellicola cult. Voto: 8
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