Regia di Márta Mészáros vedi scheda film
Primo lungometraggio della grande regista ungherese, prima figura femminile della lunga galleria di donne del suo cinema
Márta Mészáros e le sue donne. Un amore lungo una vita, ora ha 90 anni, ma ne aveva 37 quando girava il suo primo film e raccontava la prima del lungo elenco che seguì.
Una femminista? No, Mészáros ha sempre rifiutato questa etichetta, il vero problema è il potere, in tutte le sue declinazioni, e quello dell’uomo sulla donna è il primo, il più antico e duro da combattere.
“In tutti i film che ho girato finora, la protagonista è una donna indipendente, una che si ritrova in una situazione in cui deve prendere una decisione autonoma.”
30 lungometraggi e molti documentari, tutti restaurati dal Magyar Nemzeti Digitális Archívum és Filmintézet, l’archivio cinematografico nazionale ungherese, Márta Mészáros è nata a Budapest nel 1931, e dopo aver perso la madre, morta di parto o di tifo, e poi il padre (lo scultore avanguardista László) in una purga sovietica, crebbe in un orfanotrofio russo, tornando in patria solo nel 1946.
Prima donna ungherese a ottenere un diploma in regia cinematografica, vincitrice del Premio Kossuth e di premi alla Berlinale, Chicago, Cannes e molti altri festival cinematografici internazionali, fa parte di quella magnifica schiera di donne del cinema che, con posti di primo piano per qualità, innovazione e valore artistico, sono tuttavia ancora poco conosciute dal grande pubblico. Qualche festival benemerito dedica una rassegna di tanto in tanto, qualche illuminato gestore di sala rischia due giorni di incassi magri al botteghino, e la marcia delle donne prosegue, in salita.
The Girl. Nel film, la protagonista (interpretata dalla cantante Kati Kovács, una futura pop star della Germania dell’Est) fugge da un orfanotrofio statale per cercare i genitori che non ha mai conosciuto.
Un tema caro e ricorrente in Mészáros, essere sola al mondo ma non aver paura, Erzsebet guarda dritto negli occhi l’altro sfidandolo, non fa domande e non cerca risposte, il bianco e nero è il colore della sua vita perchè è il colore del mondo in cui vive.
"Ho l'ostinazione di un mulo", ha detto la regista "Nella creazione dei miei film, ho perseguito il mio tentativo di studiare i caratteri di tipi di donne che possedevano una forte personalità e che erano capaci di prendere decisioni da sole”.
L’abbandono, la ricerca di legami alternativi, l’isolamento individuale in una condizione priva di sbocchi reali è fin da questo primo film lo specchio nel privato della storia di una nazione duramente provata dalle vicissitudini del ‘900.
Il tema politico troverà ampio spazio nei film successivi, in particolare nella trilogia dei Diari, ma resterà sempre ancorato al ruolo preminente dato a figure femminili vissute come reagente di eventi in cui il loro posto non è marginale.
Quello che ruota intorno a queste donne, come nel caso della protagonista di The Girl, è un mondo a cui si rifiutano di appartenere, popolato da figure schiave di convenzioni, paure, conformismo, supina acquiescenza ad un ordine sancito dal potere, che sia quello delle istituzioni o quello di un uomo-padrone poco cambia.
Nella mensa di un orfanotrofio femminile si apre il film, si commemora qualcosa e la direttrice si produce in una serie di estenuanti litanie che soffocano Erzsebet, decisa ad andarsene a cercare la madre. La ragazza ha 24 anni, un lavoro in fabbrica, ha postato un annuncio su un giornale, la madre ha risposto.
Sola con la sua valigetta parte da Budapest alla ricerca dello sperduto paesino e quello che troverà lungo la sua strada non sarà certo all’altezza delle sue previsioni.
Una madre pentita della risposta che le ha inviato, paurosa, schiava sopraffatta dal marito, un remoto villaggio di campagna chiamato Varkut fermo nel tempo, nient'altro da fare se non lavorare, mangiare e guardare la TV. Al ballo domenicale la guardano come un’aliena, venire dalla capitale sembra autorizzare sguardi lascivi dei ragazzi, il marito della madre è insinuante. La vita in fabbrica è alienazione, fatica e squallore, Budapest non è il mondo dorato che tutti sembrano credere, ma questa comunità di idioti primitivi è inaccettbile. Erzsebet se ne va senza salutare nessuno e torna in città, né lacrime né tristezza, ci saranno altri intoppi sulla sua strada e saprà stringere i denti, nulla riuscirà a scalfire la bellezza dei suoi magnifici occhi chiari (forse verdi, forse azzurri, il bianco e nero lascia liberi di decidere) che guardano con freddezza, ironia e consapevolezza quel misero mondo intorno a lei.
Perché l'hanno data in adozione, perché è finita in orfanotrofio, perché la vera madre è una donnetta paurosa, perché il maschio che l’avvicina ha sempre voglia di scoparla, perché la vita è una dannata serie di giorni senza senso?
Erzsebet non si lascia sopraffare da tante domande, ha un lavoro, ha sé stessa, può bastarle.
www.paoladigiuseppe.it
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta