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Racconto di primavera

Regia di Eric Rohmer vedi scheda film

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La recensione su Racconto di primavera

di degoffro
8 stelle

NUOVA OPINIONE

Confesso che la prima volta che ho visto questo film ne era rimasto un po’ irritato, soprattutto per il personaggio di Natacha, verso cui, per citare l’altra protagonista Jeanne, provavo un atteggiamento ostile. Ero però abbastanza a digiuno del cinema di Rohmer. Rivisto oggi, insieme al resto dell’opera del grande autore francese, “Racconto di primavera” acquista nuovo significato e valore. Certo qua e là c’è un senso di incompiutezza e forzatura, soprattutto nella sequenza in cui Natacha costringe Eve ad andarsene dalla casa di campagna (“L’idea che lei metta i piedi qui con me o senza di me mi ripugna, è come un sacrilegio. Il pensiero che gironzoli dove io passeggiavo da piccola, che respiri l’odore dei miei fiori, che si sieda nella poltrona dove mia madre mi teneva sulle ginocchia…”) o anche nella chiacchierata tra Jeanne e Igor, il padre di Natacha, alla lunga un tantino noiosa, al pari di quella che precedeva la conclusione de “La moglie dell’aviatore”. Inoltre il “mistero della collana” è un espediente davvero esile, quasi frivolo, per reggere tutta la seconda parte del film, anche se poi, va riconosciuto, viene risolto in modo piuttosto brillante ed arguto, affidandosi ancora una volta al caso. Eppure la contrapposizione tra l’impulsiva e viziata studentessa di pianoforte Natacha (con le sue stizze, impertinenze e nevrosi, mi ricorda tantissimo i personaggi di Beatrice Romand nella serie “Commedie e proverbi”, il che me la rende decisamente più simpatica e amabile) e la razionale e controllata insegnante di filosofia Jeanne, ha la freschezza, la spontaneità e il realismo del miglior Rohmer. Sarà forse perché Jeanne (una sublime Anne Teyssedre, la capacità con cui Rohmer ogni volta riesce a trovare interpreti così aderenti al ruolo è sempre sorprendente) con la sua compostezza, discrezione ed eleganza mi ha conquistato fin dal suo apparire per il suo essere così intimamente rohmeriana (c’è chi ha visto un doppio femminile dell’autore, visto il suo passato di insegnante) nei suoi atteggiamenti e nel suo modo di porsi verso gli altri personaggi. Confesso che mi sarebbe piaciuto molto avere una prof di filosofia con le sue idee. Jeanne, infatti, alla saccente Eve che le dice che potrebbe anche non continuare ad insegnare, replica in modo sicuro, pacato ed intelligente, evidenziando l’importanza che ha per lei un costruttivo rapporto con gli studenti: “La filosofia che insegno serve per completare ed arricchire la loro, non per sostituirla. E’ difficile ma appassionante. E non approvo quelli che, per renderla più accettabile, si servono di stupidaggini come i luoghi comuni dei giornali, la psicoanalisi o le scienze sociali. No. Io l’affronto di petto, fino in fondo. E loro ne sono incuriositi.” Jeanne osserva e ascolta, più vorrebbe allontanarsi dalle dialettiche dinamiche familiari e dalle tensioni in cui, suo malgrado, è stata coinvolta e più ne diviene partecipe, tenta quindi di mediare, di mantenere una certa obbiettività, di riportare equilibrio tra le parti, non rinuncia a prendere persino le difese di Eve, criticando l’amica Natacha per i suoi comportamenti sprezzanti e prevenuti, arriva a sospettare che la scomparsa della collana sia stata tutta una messa in scena dell’amica per screditare, agli occhi del padre, la sua giovane amante. L’autocontrollo e l’apparente distacco di Jeanne potrebbero essere interpretati come freddezza, in realtà sono un mix di timidezza ed imbarazzo, comune a tante donne di Rohmer. Il critico Fabio Ferzetti, nel suo breve commento al film contenuto nel dvd, interpreta il fatto che Jeanne non accetti le avances di Igor come un piatto ritorno alla routine consueta: la donna, facendo prevalere la ragione al sentimento, vive una condizione di incompiutezza ed insoddisfazione (questa considerazione mi pare calzante, per esempio, per il protagonista di “La mia notte con Maud” e, più in generale, per tutti i personaggi maschili dei racconti morali, a parte il Frédéric de “L’amore il pomeriggio”). Non accettando nessun cambiamento, passivamente Jeanne si adagia, secondo Ferzetti. Al contrario penso che, sebbene Jeanne sia attratta da Igor, in modo convinto rifiuti la sua corte, nonostante inizialmente lo illuda acconsentendo ai suoi primi tre desideri, null’altro di più, quasi senza nemmeno rendersene conto (non a caso dirà a Igor a proposito dei suoi tre sì: “Non pensavo né a te, né a Mathieu e nemmeno a me stessa. Ho agito per logica, la logica dei numeri. Quella del numero tre.”). La frequentazione di Natacha e della sua famiglia sono servite a Jeanne per fare chiarezza dentro e intorno a sé. La sua scelta è voluta e consapevole. Il ritorno a casa da Mathieu, l’uomo con cui convive e che lo spettatore non vede mai (al pari della moglie dell’aviatore) e con cui sta attraversando una fase di stanca, non è però ai miei occhi, un accontentarsi, un ritornare ad una storia senza prospettive, un mantenere uno status quo. Sarebbe poco coerente e coraggioso per una come Jeanne che, pur con le sue fragilità e dubbi, ha una sua fermezza d’agire e una sua lucidità di pensiero. La primavera, perciò, (la stagione in questo caso è più metaforica che altro, visto che Rohmer si limita a riprendere qualche albero in fiore, piccoli lavori di manutenzione in giardino, abiti più leggeri, una verdeggiante ambientazione campagnola, ma il grosso del film è in interni) rappresenta per la donna l’occasione di un nuovo inizio, di una nuova fioritura (come peraltro potrebbe suggellare l’ultima sequenza con il cambio dei fiori appassiti nel vaso). A conferma del mio pensiero, ricordo quanto in precedenza Jeanne aveva confessato a Natacha, riguardo alla sua condizione: “Quello che mi disturba di più è vivere da sposata senza esserlo.” Affermazione che se da un lato evidenzia una attuale insoddisfazione di Jeanne, dall’altro può anche essere letta come indicazione di una prospettiva per un futuro, possibile superamento della stessa. Inoltre, sempre nella lunga chiacchierata con Igor, Jeanne sostiene: “Se non sono rimasta da Mathieu questa settimana non è stato perché mi sentivo sola senza di lui, ma perché non posso vivere nel suo disordine. Lo sopporto solo se c’è lui.” “E’ perché lo ami” afferma Igor. “Io credo di amarlo molto!” conclude Jeanne replicando inoltre, alla ovvia osservazione di Igor sul fatto che se lei lo amasse davvero alla follia passerebbe sopra la questione del disordine, di non essere una pazza e nemmeno un’isterica e di non avere mai amato una persona alla follia. Il suo modo di amare è quello, punto. Forse la mia lettura è fin troppo ottimista, solare e sentimentale, ma il tono tutto sommato allegro e spensierato del film, mi induce a pensare in questo modo, a sperare che possa essere così (anche perché trovo Igor, nonostante la sua fama di dongiovanni, piuttosto insignificante rispetto a Jeanne, come spesso mi capita con gli uomini di Rohmer, mentre su Mathieu, non vedendolo, mi rimane il beneficio del dubbio). Il tutto alla luce altresì della riappacificazione improvvisa tra Natacha e Jeanne, dopo l’inatteso ritrovamento della collana, episodio che riporta serenità e complicità tra le due amiche con Natacha che, sorridendo finalmente radiosa, riconosce la bellezza della vita, proprio nella sua imprevedibilità e Jeanne che, rilassata, può lasciare l’appartamento dell’amica per tornare a vivere in quello del compagno. In questo modo il film che, peraltro, presenta non poche affinità con “La mia notte con Maud” (da Pascal si passa a Kant), diventa per me, di conseguenza, più intenso e convincente. Così ora le discussioni a tavola su Kant mi suonano piacevoli ed illuminanti, trovo irresistibile la seduzione “cortese” di Igor nei confronti di Jeanne (“Posso sedermi vicino a te?”, “Posso prenderti la mano?”, “Posso baciarti?”), mi divertono i battibecchi infantili e ripetuti tra Natacha ed Eve, così come gli equivoci che coinvolgono Jeanne (sorpresa nella doccia da Igor al loro primo incontro) e il fidanzato della cugina di Jeanne (sorpreso dalla donna in mutande), mi fanno sorridere le gelosie e le repulsioni incontrollate di Natacha verso Eve definita senza mezze misure “una specie di vampiro che succhia al padre le idee e grazie a quelle scrive i suoi articoli. Ha talento e una grande abilità con la penna ma è troppo impersonale e troppo giornalistica”. Trovo  infine esilaranti i goffi e maliziosi tentativi di Natacha per fare in modo che il padre e Jeanne si mettano insieme. Il regista, al solito, si fa osservatore acuto, paziente, affettuoso, perspicace ed attento delle combinazioni e complicazioni del cuore, lasciando che i suoi magnifici attori (oltre alla protagonista eccellenti anche Florence Darel, Hugues Quester e Eloise Bennett) conducano il loro gioco con disinvolta leggerezza e contagiosa complicità. Il suo cinema dialogato e delicato, sensibile, sottile, filosofico e solo all’apparenza inconsistente, ricco di grazia e ariosità, in questo caso viene altresì punteggiato magnificamente dal perfetto commento musicale affidato a brani classici di Beethoven e Schumann. In concorso al Festival di Berlino.

Voto: 7

Lo spunto, come sempre nel cinema di Rohmer, è piuttosto esile: Jeanne, giovane insegnante di filosofia in una scuola di periferia di Parigi, incontra ad una festa a casa di un'amica, Natacha studentessa di pianoforte al conservatorio. Le due, annoiate dalla monotonia di una festa nella quale non conoscono nessuno, iniziano a chiacchierare (e purtroppo lo faranno per tutto il film), simpatizzano tra loro, lasciandosi andare a confidenze, tanto che la sera stessa (!!) Jeanne si trasferisce a casa di Natacha. Ben presto si scopre che Jeanne non è del tutto convinta della sua relazione con Mathieu, sempre in giro per studio, mentre Natacha, fidanzata non felicemente con un ragazzo molto più grande di lei, è molto legata al padre e non sopporta né la madre né tanto meno la nuova giovane fiamma di papà, secondo lei colpevole di averle rubato una preziosa collana. E' il meno convincente e fresco dei "Racconti delle quattro stagioni" del grande regista francese. Troppo verboso e prolisso, poco convincente soprattutto nel personaggio di Natacha, ragazza che alla lunga diventa insopportabile con i suoi atteggiamenti viziati, infantili, irritanti (la sequenza in cui come una bambina petulante e egoista costringe l'amante del padre a tornare a Parigi è eccessiva nella sua ripetuta insistenza). Molti dialoghi appaiono eccessivamente intellettuali e ricercati (vedi la lunga discussione filosofica a tavola o il troppo prolungato dialogo finale tra Jeanne e il papà di Natacha), manca la naturalezza e spontaneità che ad esempio fa di "Racconto d'autunno" un'opera ben più coinvolgente e sincera. Sembra quasi che questa volta Rohmer non riesca a dare sostanza e a sviluppare con la solita convinzione, felicità di sguardo ed ironia una premessa comunque fragile e inconsistente, una storia in cui non accade (quasi) nulla e dove tutto è giocato sulla parola, sugli sguardi, su personalità contrapposte e spesso inconciliabili. Un film elegante e delicato, dalle ricche e verdi ambientazioni in campagna, accompagnato da una deliziosa colonna sonora con brani classici di Beethoven e Schumann, ma paradossalmente poco "armonioso" e a tratti noiosetto. Voto: 5 e mezzo

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