Regia di Chan-wook Park vedi scheda film
Decision to Leave… the Theater? Esiste, purtroppo, un problema ricorrente alla base dell’opera di Park: ovverosia che all’eccellenza tecnica quasi sempre presente e all’inventiva nel creare momenti clou fulminanti, non corrisponde spesso un’analoga ferma padronanza della sceneggiatura. E così film colmi di inquadrature inusuali, ardite, originali e in generale diretti con perizia – quali ad es. Mr. Vendetta o Thirst – non riescono tristemente a raggiungere l’eccellenza.
Peccato solo che quest’ultimo Decision to Leave sia persino peggio, a questo proposito, nel proporre una storia francamente sconclusionata, perennemente incerta sul registro da tenere (fosse stato grottesco, per dire, sarebbe stato un poco più tollerabile), troppo raffazzonata e rimpinguata di scene non molto significative o perfettamente sensate, in ultima analisi fredda e distaccata (salvo nel finale) quando dovrebbe dare invece l’idea di una sorta di ardente passione incontrollabile.
L’inevitabile esito di quanto detto è un film interminabile che annoia ben presto e lascia alquanto interdetti pure per via dei macroscopici buchi narrativi messi lì in bella mostra come se niente fosse (emblematica di ciò l’assurda “soluzione” del primo mistero coinvolgente la donna, la quale è una vera furbona eppure lascia in mano ad un’anziana signora smemorata un cellulare nel quale ha registrato, per imponderabili motivi, tutti i propri spostamenti con un contapassi).
E se, come detto, il primo mistero fa già sollevare più di un sopracciglio, il secondo addirittura viene catapultato all’interno della trama di punto in bianco e perviene ad una “conclusione” ancora più illogica e astrusa (e difatti non ci si premura mai di spiegare perché mai lei abbia fatto quello che ha fatto ad una certa madre di un certo soggetto, se non per il tramite di una ridicola motivazione “ossessivo-amorosa” alla quale però, per l’appunto, non si crede per nulla).
E quanti hanno voluto sorvolare (non si sa bene come o perché) su queste evidenti manchevolezze e assurdità, hanno allora tirato in ballo una pseudo-teoria secondo la quale questo film sarebbe in realtà un dramma sentimentale “lancinante e privo di soddisfazione”. Ora – a parte l’ovvia obiezione riguardante il fatto che un film non può essere certo giustificato in quanto senza capo né coda soltanto perché è “sentimentale” – per l’ennesima volta giova rimarcare come tra i due protagonisti non si riesca a creare nessuna effettiva “chimica” e come, di conseguenza e anche a causa di una trama appunto arzigogolata e insulsa, non si arrivino a ritenere neanche per un attimo credibili gli improvvisi scoppi di “caliente” morbosa attrazione tra i due.
Pertanto, se il mistero è deludente e la componente amorosa deludentissima, cosa diamine rimane da salvare di questo Decision to Leave? Eccoci di ritorno all’inizio: da salvare rimane giusto il gusto di Park per la ripresa curiosa e intrigante, e la finale sequenza sulla spiaggia che – per quanto fuori tempo massimo – introduce una buona dose di emozione e sentimento (pur partendo da premesse risibili) assente per tutto il resto della durata.
Ma chiaramente non basta a salvare un film mal concepito e in larga misura irritante, spia si spera transitoria di una deriva auto-compiaciuta di un regista che fatica sempre a portare a buon compimento le proprie idee, talvolta sensazionali.
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