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Lancillotto e Ginevra

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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La recensione su Lancillotto e Ginevra

di maso
8 stelle

Due cavalieri pesantemente rallentati dalle loro armature si affrontano a colpi di spada, il meno reattivo dei due viene perforato al ventre, poi decapitato e dal suo collo zampilla rosso il sangue che bagna la sua armatura ormai contenitore di un corpo morto.
Questa sequenza molto insolita per aprire un film fa il paio con quella altisonante che introduce "Excalibur" : se nel famosissimo omaggio di Boorman al ciclo arthuriano l'inizio è lirico e spettacolare condito com'è di scontri mirabolanti fra cavalieri atletici in armature avveniristiche, in "Lancelot du Lac" il tutto è ridotto ai minimi termini per far si che lo spettatore possa subito capire che lo spettacolo a cui sta per assistere è scarno, violento ed asettico come il periodo storico che gli verrà raccontato.
Il film vuole narrare una porzione del mito, focalizzando l'attenzione sul personaggio più controverso, Lancillotto: il prode cavaliere è reduce dalla fallimentare ricerca del Graal, al suo ritorno in patria deve affrontare le invidie e le critiche dei cavalieri della tavola rotonda che non approvano la sua relazione con Ginevra e lo considerano battibile in duello al contrario della sua fama.
Bresson sceglie la strada del verismo stilistico che da sempre lo contraddistingue: quasi a voler sottolineare la pochezza di contenuti culturali in tempi così non civilizzati, riduce i dialoghi ai minimi termini, descrive il rapporto fra i due amanti in maniera molto casta scartando a priori la passione, dipinge Ginevra come una santa innamorata,desiderata da tutti i cavalieri che osservano bramosi la finestra della torre dove si è rifugiata, incolonna nella banda sonora clangori di corazze e scalpitii di cavalli, suoni di cornamuse e rintocchi di frecce scoccate, unici veri rumori di un tempo così lontano dall’ossessivo baccano del nostro quotidiano vivere, rinuncia anche ad una recitazione teatrale e romanzata tanto che quella degli attori del film è una non recitazione voluta al fine di sottolineare una volta di più la staticità e l’assoluta incomunicabilità di un epoca così remota.
Lancillotto è l’assoluto protagonista della storia nella storia, e le bellissime inquadrature sghembe come quelle che catturano solo una porzione di immagine sanciscono il suo eroismo nella giostra dove disarciona tutti senza fare un commento e poi ferito si rifugia nella foresta per ricevere le cure in un’altra sequenza di assoluto verismo ed improvviso romanticismo nei confronti suoi per chi lo ha protetto e curato, la scelta anche in questo caso di costumi, oggetti (la bacinella per il sangue), vessilli e armi che sembrano presi in prestito da un museo di storia medievale accentuano ancora di più la trasparenza del film, senza contare le location castellane e forestali che si osservano nel corso della storia.
Se in “Excalibur” quindi tutto è luccicante, altisonante e magicamente cinematografico, in “Lancelot du Lac” tutto è ipodermico e minimizzato, come anche il finale così antispettacolare ma molto efficace che fa ancora una volta da controaltare a quello epico e wagneriano che chiudeva “Excalibur”, del quale “Lancelot du Lac” rappresenta il parente povero, ma solo per investimenti economici, poiché lo considero un film di assoluto valore artistico che merita sicuramente una visione anche da chi non ama Bresson, e per darvi una similitudine calzante potreste mettere a confronto “Il Re dei Re” di Ray e “Il vangelo secondo Matteo” di Pasolini: sono due film ottimi che raccontano la medesima storia ma con canoni diversi.

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