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Pantafa

Regia di Emanuele Scaringi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Pantafa

di axe
6 stelle

Marta, una giovane madre single, si trasferisce, insieme alla figlioletta Nina, in una località montana dell'Italia centrale, Malanotte, confidando che l'aria salubre e la tranquillità del luogo potessero essere di giovamento alla bambina, affetta da disturbi del sonno. Le speranze di Marta rimangono deluse; nel paese regna un'atmosfera malsana. Contemporaneamente, le crisi di Nina diventano sempre più gravi e frequenti. Gli eventi potrebbero essere collegati all'inquieto vagare di un'entità sovrannaturale chiamata Pantafa, la quale aggredisce i bambini, ghermendone le anime durante il sonno. Emanuele Scaringi dirige un interessante film horror, traendo ispirazione da oscuri elementi del folklore comuni nelle terre del Centro Italia, in particolare Abruzzo. In questa regione, nei paesi, è possibile assistere, in contesti di festa, al ballo della "pupazza", o "bandasima". Un fantoccio dalle sembianze femminili, animato da una persona, balla all'interno di un circolo; successivamente, mentre la persona si allontana dal suo interno, è incendiato, in un tripudio di luci, colori, fuochi artificiali. Questo rito esorcizza l'ancestrale paura della stessa creatura che è protagonista in negativo di questo film. La Pantafa - o pantafica - ha connotati femminei; la sua malvagità è pari al suo dolore, che la tormenta in eterno per un distacco o una mancanza di figli. E' il motivo per il quale aggredisce i bambini, i quali, pur nella loro intrinseca debolezza, hanno possibilità di difendersi. Come in presenza di un animale feroce, è la calma, un regolare ritmo del respiro che possono spingere l'entità a desistere dall'insano proposito di privarli del soffio vitale, un anelito di innocenza e purezza che dà un effimero sollievo alla misteriosa vindice, le cui motivazioni sono avvolte nelle nebbie del tempo. Malanotte, in nomen omen, è un paese quasi spopolato; i pochi abitanti vivono di piccoli lavori, pastorizia, coltivazione dello zafferano. Ci si conosce tutti, i "forestieri" rappresentano una novità. L'anziana Orsa, autorità morale del paese, prende sotto la propria protezione Nina, sfruttando il proprio ruolo di bàlia per insegnarle come difendersi dalla Pantafa. Ciò rende difficili i rapporti con Marta, la quale non crede nella leggenda dell'entità, ritenendola pura fantasia, forse amplificata ad arte per spaventare lei e la figlia. Ma, a seguito del verificarsi di fenomeni sempre più inquietanti, la Pantafa si manifesta. La vicenda acquisice i tratti di una doppia contesa. La prima è tra madri e la posta in gioco sono lo spirito e la mente di Nina; questa sfida è parte di un confronto di portata più ampia, una lotta tra il bene ed il male che non ha inizio, ne' fine. Per questo motivo, Orsa insegna a Nina non solo come difendersi, ma anche come contrattaccare, al fine di mettere temporaneamente l'essenza maligna in condizioni di non nuocere. Le tre donne, pur non senza dolori, grazie alla forza generata dalla loro unione, dalla fede e dalle conoscenze tramandate da una generazione all'altra, ottengono la libertà dell'influenza della Pantafa, la quale, tuttavia, non rinuncia nel cercare una "preda". Le protagoniste sono interpretate da Kasia Smutniak (Marta), Greta Santi (Nina), Betty Pedrazzi (Orsa); la prima interpreta con intensità una giovane mamma della cui vita non sappiamo nulla, dolce ma volitiva, responsabile verso la figlioletta e, al tempo stesso, ansiosa di vita. Greta Santi dà una buona resa del personaggio di Nina, un soggetto che "cresce" in proporzione al grado di esperienza ed agli insegnamenti ricevuti, arrivando a poter prendere l'iniziativa. Ho molto apprezzato il personaggio di Orsa, anche grazie all'ottima interpretazione di Betty Pedrazzi. D'indiscussa autorevolezza, in virtù del suo ruolo materno e di detentrice di conoscenze, l'anziana paesana sceglie Nina come sua erede spirituale, trasmettendole fede, sapienza, coraggio. Gli interpreti dei paesani utilizzano accenti e dialetti che ricordano l'abruzzese; non sempre sono comprensibili. A volte giunge in soccorso (di Marta, di origine cittadina, e, di conseguenza, degli spettatori) una traduzione in italiano resa dagli stessi "indigeni". La tensione è molto alta. La Pantafa si mostra in fugaci e quasi mai complete apparizioni; pur senza trovate di particolare originalità, il regista tratteggia un'ambientazione fosca. Paesaggi umidi, avvolti in nebbie autunnali; pochi abitanti che tirano avanti con attività poco redditizie. Interni bui, quasi fermi ad un passato ormai lontano. All'esterno, vicoli deserti, sui quali si affacciano porte sempre chiuse, memori di una vitalità ormai svanita i cui ricordi ancora aleggiano nell'aria. In questi luoghi senza tempo, si consuma l'ennesimo scontro tra il bene ed il male. il film di Emanuele Scaringi funziona discretamente come horror; ritengo, inoltre, che ben sappia raccontare il microcosmo delle innumerevoli piccole comunità presenti in Italia, ove, nonostante i progressi tecnologici, il tempo è veramente fermo. Una natura avara, la tentazione o la necessità dell'emigrazione, una superficiale considerazione da parte dei "cittadini" - i quali tendono a vedere solo il bello, non il brutto di una vita in un minuscolo agglomerato di case - minacciano l'esistenza di queste entità; ma esse resistono, anche grazie al legame ancestrale tra un territorio e la sua gente, rinsaldato anche dal perpetuarsi delle credenze.

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