Regia di George Miller vedi scheda film
Torna il creatore di Mad Max in uno dei film più attesi presentati sulla Croisette: un viaggio nel tempo e nel racconto di un genio solo e vulnerabile, trovatosi finalmente libero dopo secoli di confinamento in una angusta bottiglia di vetro. Un blockbuster bizzarro e originale che sa anche affrontare tematiche adulte con circostanziata duttilità,
Pur catalogato tra le opere Fuori Concorso del Festival di Cannes 75, Three thousand years of longing, il nuovo, attesissimo film del papà di Mad Max, (l’australiano George Miller) è uno dei colpi grossi che il festival più famoso al mondo è riuscito ad assicurarsi.
Un film che, come sempre con Miller, sa coniugare l’impostazione da blockbuster con elementi fantastici ed ammalianti in grado di incantare l’occhio e stimolare la mente con argomentazioni tutt’altro che banali.
Alithea Biss è una dotta letterata sola al mondo, ma realizzata grazie ad una professione che ama e che la stimola a perfezionare la sua già variegata cultura.
Un giorno, mentre si trova invitata come ospite di punta ad un convegno di letteratura ad Istanbul, vagando per il centro storico della grande città si imbatte in un negozio di antichità. Qui viene attirata da un’ antica ampolla striata di bei colori, Cercando di ripulirla, la donna inconsapevolmente richiamerà alla vita un enorme genio, trattenuto per centinaia di anni dentro quell’ angusta ampolla.
Anziché spaventarsi, la donna ne approfitta per farsi raccontare circa tremila anni di tortuose vicissitudini, molta parte delle quali trascorse per il genio in quella piccola bottiglia di vetro.
Intenzionata a mettersi alla prova per esprimere i tre desideri, che la donna già realizzata e soddisfatta di se stessa non riesce ad elencare, Alithea scoprirà di provare, ampiamente ricambiata, un affetto piuttosto marcato per quel gentile ed un po’ materiale genio della lampada, dotato peraltro di una sensibilità marcata. Anch’egli, come la brillante dottoressa, si dimostrerà un essere solo nell’anima e sin troppo concentrato sulla propria lunga e frustrante esistenza.
Sette anni dopo l’entusiasmo suscitato con l’ultimo capitolo della saga su Mad Max (il riuscitissimo ed osannato Mad Max: Fury Road) George Miller risulta ancora un regista un po’ discontinuo e predisposto a prendersi tutti i tempi necessari per portare a termine i propri, sempre complicati e complessi, progetti di direzione.
Questo suo ultimo movimentato e galvanizzante fantasy non risulta da meno. Miller si adopera a creare un altro perfetto compromesso tra un film ‘di cassetta’ ed un prodotto autoriale, forte di una fantasia che sa spaziare nella mitologia mediorientale più nota. La pellicola scivola all’interno di un vorticoso ed entusiasmante viaggio nel tempo con scenari degni delle Mille e una notte che sfociano poi in una love story di stampo quasi intimista e romantico.
Certo Miller non è né Terry Gilliam, col suo genio incontenibile (che non sarebbe guastato in un contesto tra lo storico ed il fantastico qui preso in considerazione) né tantomeno Peter Greenaway la cui cultura avrebbe reso il film qualcosa di più storicamente contestualizzato e colto rispetto allo stampo rocambolesco ed un po’ barocco che la pellicola intraprende lungo tutto il corso della sua concitata vicenda a ritroso nei secoli.
Forte di una Tilda Swinton sempre più contesa dagli autori di tutto il mondo, e qui più che mai senza età anagrafica definita (ma sempre in grado di apparire seducente e allo stesso tempo androgina come una divinità d’altri tempi) e di un Idris Elba tutto curve e muscoli, forse non proprio espressivo, ma quanto meno piuttosto ironico, il film di Miller è, nonostante qualche prolissità e numero circense di troppo, sempre un avvenimento ed uno spettacolo pirotecnico entro cui è bello perdersi e lasciarsi condurre. Trascinati nel tempo e nello spazio, ci si avvia alla ricerca della ricetta più valida per scacciare quella solitudine che spesso si impadronisce anche di chi è riuscito a realizzarsi e a vivere secondo le proprie attitudini.
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