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Il silenzio sul mare

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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La recensione su Il silenzio sul mare

di OGM
10 stelle

Il cinema orientale ci insegna che la ripetizione non è noia, e l’uniformità non è inerzia: entrambe sono, infatti, le immagini della costanza e della pazienza, ossia di quella forza espressa dalla ferrea volontà di rimanere sempre uguale a stessi. Nulla è più imperturbabile ed invariabile del silenzio, che spiana i dislivelli della realtà, riducendo strepiti e sussurri allo stesso interminabile tono di attesa. È per dare un volto a questa eterna e sublime perfezione, che Kitano sovrappone la sordità di un giovane surfista alla sconfinata vastità del mare, convertendo il rumore della risacca in una pulsazione che si percepisce con l’anima, e attraverso la pelle. La contemplazione dell’infinito, da parte dei personaggi fermi sulla spiaggia – uno dei principali motivi ricorrenti nella cinematografia di questo autore – prosegue qui in una semplice sfida con l’ignoto, intrapresa da un ragazzo in sella alla sua tavola di plastica e polistirolo. Quello di cavalcare le onde è, per Shigeru, un sogno e  nulla più, e perciò non può essere affrontato che con un approccio appassionato e ingenuo, con sobrietà di mezzi e senza ambizioni di gloria. Mantenersi in equilibrio in mezzo alla corrente è un compito arduo, che richiede precisione e sensibilità; d’altronde il mondo è un oggetto fragile da conquistare, perché la sua scorza delicata rischia continuamente di essere scalfita dalla nostra irruenza, come un vetro rotto dal lancio di un sasso, o la superficie del mare infranta dal peso di un corpo che cade. L’acqua è come uno sbuffo limpido e leggero sulla severa geometria dell’universo, che segna il confine in cui la rigorosa armonia della ragione digrada nel sottile fremito della poesia: è, come la breve esistenza di Shigeru, un flebile spasimo di libertà rubato alle pesanti e inderogabili regole del destino umano.  Con questo film, Kitano riduce il suo simbolismo pittorico ad un lievissimo colpo di pennello, che accenna, timidamente, alla rivelatrice presenza di un perché: un piccolo guizzo di colore che si inarca verso il cielo, senza però chiudersi sulla definitiva tragicità di una risposta.

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