Regia di Michele Placido, Toni Trupia vedi scheda film
La passione di Cristo riletta in chiave attuale, universale, che coinvolge ogni essere umano nella tormentata esperienza sulla croce. Una parabola "religiosa" resa in termini di prospettiva popolare (in senso positivo). Notevoli i testi e soprattutto i monologhi, pronunciati con cuore, dal grande Michele Placido.
Una rivisitazione della passione di Cristo in chiave popolare e contestualizzata, impreziosita dai testi di Dario Fo, Franca Rame e Mario Luzi. Opera che, lo si intuisce, è stata particolarmente voluta da Michele Placido, qui alle prese con temi esistenziali e toccanti, al di là del contesto religioso. Dopo essere approdato a Ferrara, come presidente del teatro locale, Placido sceglie di documentare un evento pensato in origine come rappresentazione dal vivo, lungo le vie della città, purtroppo costretto ad essere annullato a causa del Covid. Si sviluppa così questa curiosa e interessante opera audiovisiva, che sta a metà strada tra recitazione vera e propria e backstage. Un modo di diffondere concetti religiosi che però mira a raggiungere anche chi, magari, in chiesa ci va raramente. I temi affrontati dai due registi (Michele Placido e Toni Trupia) sono molteplici: sfruttando il soggetto biblico, qui è anche molto altro che si vuole raccontare. Parallelamente alle recitazioni sullo schermo infatti appaiono saltuariamente veloci immagini di guerra (del passato, come attuali) o in genere simboli che ricordano "empietà, soprusi, disegni miserabili, ipocrisie" compiute dai nostri simili a danno dell'ennesimo "Cristo" di circostanza: l'essere umano emarginato, il perseguitato, il "diverso" è sempre esistito, purtroppo.
Il tormento di Gesù prima di spirare sulla croce, ben più angosciante delle ferite materiali, è destinato a ripetersi, come ci ricordano il caso George Floyd e le immagini di cadaveri sovrapposte in occasione della esternazione in aramaico che esplode a gran voce al grido di Gesù sulla croce: "Elì, Elì, lemà sabactàni?" ("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"). Gesù diventa così, nella personale lettura degli autori, per traslazione l'uomo comune. La sua venuta - sulla Terra - si ripete costantemente: giorno per giorno "la passione di Cristo" rivive nei più umili, quelli dimenticati, isolati e abbandonati. Abbandonati non da Dio, ma dal suo simile o da umani malvagi e forse anche in odor diabolico (Hitler). Da un punto di vista del contenuto Passio Christi avvicina anche l'ateo al tema religioso (quello più profondo, in parte distante dalla rappresentazione formale, statica e tipica della celebrazione liturgica e teologica). Sicuramente Placido sente profondamente l'argomento, e lo umanizza con sentimento quando recita alcuni impressionanti monologhi sul tempo, sulla morte e sull'eterno dilemma della precarietà della vita.
Gli attori se la cavano egregiamente, la fotografia è curata e le poche scene in esterno sono senz'altro suggestive (ad esempio la corsa in una Ferrara mattutina e deserta di "Cristo" nel finale, accompagnata dalle note dell'Hallelujah di Leonard Cohen). Forse si potevano evitare in montaggio le riprese del backstage e magari inserire sottotitoli nel monologo in dialetto pronunciato con trasporto da Sara Alzetta. Non si può però non apprezzare l'iniziativa, per testi di qualità e un soggetto che ci avvicina al senso più intimo e profondo della festività pasquale, facendoci riflettere sul vero significato della "passione di Cristo". Dove per Cristo è da intendersi ogni essere umano, soggetto alle eterne e immutabili leggi del tempo.
Come documentario su una rappresentazione teatrale, realizzato in tempi di limitanti ristrettezze, Passio Christi merita tutta l'attenzione.
"Tuttavia la morte è una regione dove sei, ma non vivente, in un imperscrutato sonno. Questo pensano gli umani. Ho paura. Dubito che la morte sia vincibile." (Michele Placido, nel monologo rivolto a Dio)
F.P. 02/04/2021 - Versione visionata in lingua italiana (durata: 63'41")
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