Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
The Cock Is Alive! (E qualcuno deve pur tener fermi i cavalli.)
“Cry Macho” è l’ossimoro vivente di un ennesimo film testamentario: è l’ennesima letterina a Babbo Natale, scritta da un bambino che però non la spedisce dalla buca per le lettere sotto casa, ma se la infila in tasca, sale in groppa al suo pony (o bmx) e inizia a pedalare verso il Polo Nord per consegnarla di persona.
"Sei in ritardo, Mike", è la prima frase pronunciata nel film. E "Per cosa?", è la risposta che il regist'attore consegna al suo interlocutore. E poco prima, dai titoli di testa, Will Banister ci ricorda che: "...never too late to find a new home...". Così, in due battute e in un frammento di coro greco, sono racchiuse la morale, il senso, il - ebbene sì - messaggio e la sinossi del film.
Se in “the Mule” (riprese: 2018, età: 88) all’inizio si assiste ad un balzo di una dozzina d’anni (attraversandoli s’un un pick-up F-Series della Ford, che effettuerà un bel po’ di consegne prima di cedere lo scettro ad un Lincoln Mark della stessa casa), dal 2005 al 2017, in “Cry Macho” (2020/2021, 90/91) si sceglie, prudentemente, passando dal prologo allo svolgimento della storia principale, di saltare un solo anno, dal 1979 al 1980, e in vece di una Ford “Gran Torino” ecco che buona parte della strada fra Texas e Mexico (location: New Mexico) è percorsa a bordo di un pick-up della Chevrolet (un solo carico, umano, per un viaggio di sola andata), con la riproposizione però dello stesso rapporto fra un nonno e un nipote vicendevolmente acquisiti (il medesimo, con un salto di generazione, innervava “Million Dollar Baby”, del 2004, anni 74, e, se proprio si vuole, "the Rookie", del 1990, anni 60).
Minimo/massimo comun denominatore: Nick Schenk (lo sceneggiatore di “Gran Torino” e “the Mule”), che in quest’occasione ha adattato l’omonimo script originale steso ad inizio anni ‘70 da N. Richard Nash (1913-2000; “the Rainmaker”, “Handful of Fire”), più volte rifiutato da vari studios e poi a metà anni ‘70 trasformato dallo stesso scrittore e drammaturgo in un romanzo (novellizzazione) dallo stesso titolo.
“Non so come curare la vecchiaia”, dice ad un certo punto Clint – pardon, Mike – ad una persona ch’è venuta in cerca del suo aiuto, ed è un’eloquentement’evidente, inequivocabile, incontrovertibile, ineluttabile ovvietà, ammortizzata e stemperata da una similare ed affine filosofia di vita: “Guarda dove stai andando e vai dove stai guardando”. (A tal proposito, la brevissima sequenza in groppa al "mustang" da domare è quella gestita con più fatica dal PdV della sospensione dell'incredulità: da una parte la controfigura in campo lungo controluce in scozzonatura e dall'altra due fulminei tagli in primo piano ripresi dal basso "cavalcando".)
Completano il cast: il giovane Eduardo Minett (Rafo), semi-esordiente, con alle spalle qualche episodio di serie/soap messicane, e si “percepisce”, ché non è certo una prestazione “eccellente”, la sua, ma “eccezionale” sì, perché - paradossalmente - realistica [il suo personaggio non è quello di un immigrante clandestino, in quanto, pur non essendo nato in territorio U.S.A. (ius soli), è per metà statunitense (ius sanguinis), e, d'altro canto, lui vuole trasferirsi nella Terra di Latte e Miele nonostante sappia che suo padre lo vuole là con lui non solo per un affetto ripescato, ma soprattutto per questioni di portafoglio (ius... culturae); e per contro Mike Milo compierà un percorso inverso, per amore e per un meriggiare tranquillo]; e poi Natalia Traven (Marta, la Locandiera), Fernanda Urrejola (Leta, la madre di Rafo), Horacio Garcia Rojas (Aurelio, il gorilla tonto di Leta) e il grande Dwight Yoakam (Howard, il padre di Rafo, "persona non grata" in Mexico), cantautore country, honky-tonk man e attore (“Red Rock West”, “Panic Room”, “the Three Burials of Melquiades Estrada”, “Logan Lucky”).
Fotografia di Ben Davis (sodale di Matthew Vaughn, e poi: “Kick-Ass”, “Seven Psychopaths”, “Guardians of the Galaxy”, “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri”, “Dumbo”), che alla prima collaborazione col regista tiene ferma l’asticella posizionata alta da Tom Stern e sfiorata ultimamente da Yves Bélanger. Montaggio come sempre impeccabilmente "classico", nettamente sfumato e seccamente fluido di Joel (e David) Cox. Musiche, veramente ottime, di Mark Mancina (“Find a New Home”, in apertura e chiusura, è suonata e cantata da Will Banister), cavallo scosso della scuderia di Hans “the Hammer” Zimmer, anch’esso al primo lavoro con Eastwood (che scrive qualche melodia addizionale).
E un grande grazie, veramente sentito, come sempre, al tecnico bonificatore addetto alla rimozione dei serpenti: Brendon Kehoe.
Meraviglioso momento, all’inizio, messo a sancire l’ellissi temporale del passaggio di decennio, nel quale una fotografia in bianco e nero che ritrae il protagonista anziano ripreso in un momento folgorante della propria gioventù (vs. "the Lusty Men" di Nick Ray) si anima e diventa cinegiornale d’epoca: il flash-back di ben più di 50 anni (forse siamo più vicini ai ¾ di secolo) dura, tra presentazione (carrellata in avanti della macchina da presa e animazione) e realizzazione, solo 15 secondi: da brivido.
E un ultimo pensiero vola verso il "CockFighter" di Monte Hellman, Charles Willeford, Nestor Almendros, Warren Oates e Harry Dean Stanton.
The Cock Is Alive! (E qualcuno deve pur tener fermi i cavalli.)
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Audio-Video Grafia.
Riassunto della storia: (Never Too Late to) “Find a New Home” (scritta/musicata da Mark Mancina e suonata/cantata da Will Banister).
La morale, il senso, il messaggio, la sinossi della storia (versione alternativa).
I dintorni della Storia.
https://www.washingtonpost.com/politics/2021/09/20/what-one-photo-border-tells-us-about-evolving-migrant-crisis/
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