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Cry Macho - Ritorno a casa

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cry Macho - Ritorno a casa

di gmigliori
4 stelle

Onore delle armi al granitico Clint

Incurante dei suoi novantun’anni, ancora una volta il granitico Clint  scende in campo per l’ennesimo viaggio on the road tra le sabbiose strade del deserto americano.  Niente di geriatrico, nessun sentore di casa di riposo;  Clint, nei panni di Michael "Mike" Milo, ex campione di rodeo, non rinuncia certo all’azione, e, dopo aver frettolosamente accennato  con un paio di scarni dialoghi alle motivazioni del viaggio, parte per il Messico con la mission impossibile  di recuperare il figlio adolescente (e il suo inseparabile gallo da combattimento)  di un amico al quale è legato da un debito di riconoscenza.
E proprio come conseguenza di  questo instancabile iperattivismo  del protagonista  il film mi è sembrato decisamente zoppicante, richiedendo al lettore uno sforzo eccessivo per attivare la sospensione dell’incredulità. Insomma dobbiamo berci la storia di un coriaceo supervecchietto che scorrazza instancabile per il deserto (fatto salvo qualche riposino rigenerante), scampa a stento da un furioso tentativo di seduzione da parte di  una pericolosa femme fatale messicana, doma in un battibaleno cavalli più riottosi di Bucefalo, ruba indisturbato automobili, semina la polizia messicana,  prende a cazzottoni un gangster messicano ai limiti dell’idiozia (in questo film i messicani non fanno una gran bella figura…),  riporta il fanciullo al paparino (a proposito, la dogana è totalmente deserta, ma Trump non aveva eretto grandi muraglie in quella zona? boh…), infine ha anche il tempo di  trovare il vero amore che lo farà uscire dalla solitudine della sua vedovanza. Happy end.
Riassumendo,  le tipiche rodomontate del suo repertorio classico ci sono tutte, il problema è che, mentre funzionavano  benissimo nei western di Sergio Leone,  se riferite tutte a un seppur vulcanico novantenne suonano davvero improbabili e ingenue, così come il sentimentalismo profuso a piene mani suona un po’ zuccheroso e retorico. Eppure lo sceneggiatore è quello di Gran Torino, che infatti si limita a replicare lo schema collaudato  del vecchio burbero alle prese con un adolescente “difficile” di altra etnia per il quale, in virtù della sua disincantata e pragmatica saggezza, finisce suo malgrado per svolgere il ruolo di mentore e di padre sostitutivo. 
Non mi resta che concludere questa recensione non proprio positiva dedicando  un riasrcitorio momento di ”onore delle armi”  al grande Clint, regista da me molto amato per il suo coraggio e il suo immenso amore per il cinema.

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