Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
A cinquant’anni dalla sua prima regia (Brivido nella notte, 1971) la Warner Bros. ha potuto festeggiarne l’anniversario sia con un apposito documentario, presentato in Italia al Torino Film Festival in un unico montaggio di 135 minuti mentre negli Stati Uniti é disponibile su HBO Max in nove puntate, che con una nuova pellicola, il suo trentanovesimo lungometraggio di cui é anche protagonista pur avendo più volte dichiarato, a partire dal lontano 1992, che non avrebbe più recitato in un proprio film.
Ma facciamo un passo indietro.
La sceneggiatura di Cry Macho è firmata da N. Richard Nash e circolava ad Hollywood già nel 1975 ma ebbe fin da subito una vita piuttosto tribolata tanto che lo scrittore americano si convinse a trarne invece un romanzo, abbandonando (provvisoriamente) le sue velleità cinematografiche.
Ma come spesso accade nella Terra dei sogni fu proprio il suo successo editoriale a riportare l’interesse del cinema per la storia ma senza mai riuscire a trovare il modo di arrivare sullo schermo fino al il primo approccio al romanzo di Eastwood che risale invece al 1988 quando, con Scommessa con la morte, Clint diede definitivamente addio al personaggio di Dirty Harry,
Lo script rimase comunque ancora nel cassetto della Malpaso ancora per diversi anni, un po' perché Clint anagraficamente ancora inadatto alla parte e un po' perché una sua versione con protagonista Arnold Schwarzenegger fallì per uno scandalo legato a una sua relazione extraconiugale.
Quarant’anni dopo fu il fido Nick Schenk a rimettere mano al materiale originale trasformandola nella conclusione (?!) di un’ideale trilogia con Gran Torino e The Mule, tutti lavori (non a caso?) sceneggiati sempre da Schenk, diretti dal regista californiano e tutti da lui stesso interpretato come (anziano) protagonista.
Pellicola atipico ed estremamente personale, Cry Macho é sia un road movie, interrotto da un lungo intermezzo che é esplicitamente un racconto di formazione così caro all’autore californiano, tra un’educazione al mondo e alla vita e la trasmesso dell’eredità, anche filosofica, da un’anziano a un giovane, che un “western” esistenziale che ha come fine ultimo l’accettazione del proprio destino e il buon ritiro da un mondo in cui non ci si riconosce più.
Ma é anche l’ennesima pennellata, efficace ma semplicistica, del grande autore americano, un’opera piena di umanità che affronta il tema della distanza generazionale, del confronto culturale come anche del concetto di identità, di libertà personale e della mascolinità anche attraverso un bilancio, spesso piuttosto amaro, che a un certo punto della propria vita ognuno di noi é obbligato a fare con se stesso, e che conferma l’ultimo periodo autoriale di Eastwood e la sua volontà di una totale decostruzione del mito dell’uomo forte, del Cowboy di frontiera, ovvero proprio dell’uomo tutto d’un pezzo che a partire da lo Straniero senza Nome di leoniana memoria ha spesso interpretato per buona parte della sua carriera.
La fascinazione della frontiera torna quindi come processo di rioggettivazione attraverso legami con etnie diverse e culture differenti radicalizzandone gli elementi narrativi anche (o soprattutto/1) in un’ennesima storia di paternità tormentate e/o acquisite che da Un Mondo Perfetto a Million Dollar Baby porta inevitabilmente (o soprattutto/2) a Gran Torino, non soltanto (o soprattutto/3) per avere al centro della scena una minoranza (tale almeno dal punto di vista americano) ma anche (o soprattutto/4) per la volontà di mostrare ancora una comunicazione transgenerazionale anche (o soprattutto/5) come soluzione a una qualche deriva morale e/o esistenziale.
E innegabile quindi che a questo giro tale approccio (ormai così sistematico) inizi a farsi fin troppo schematico (appunto!) e prevedibile con la conseguenza, al netto di una distribuzione in contemporanea su HBO Max, di un andamento piuttosto infelice al Box Office americano.
Cry Macho é il film con cui, più di tanti altri, l’ultimo (Vero) Divo americano (ma di quelli di una volta) ragiona su ciò che é stato, su ciò che ha fatto e su ciò che ha rappresentato, per gli altri e per il suo paese, e su una Frontiera, probabilmente più immaginaria che reale (come un Sogno, naturalmente Americano), in cui é facile perdersi senza la guida giusta, specie per le nuove generazioni.
Cry Macho non rinnova il genere e, sia chiaro, nessuno gli chiedeva questo ma rimane troppo in superficie per delle semplici, piccole variazioni a uno spartito però già fin troppo noto.
Insomma alla fine é proprio lo stato iconico dell’attore-regista, e il suo volto scultoreo segnato dal tempo, a determinarne nel bene e nel male le coordinate immaginarie e quindi l’indiscussa (o meno) autenticità alla pellicola più ancora che la pellicola stessa, perché é proprio la sua memoria collettiva (emotiva e cinematografica) a interpretarla (per noi) e a compensarne le (molte) mancanze.
E questo per il film (in quanto tale) non é affatto un bene.
VOTO: 5
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