Regia di Franco Brusati vedi scheda film
E' un film politico, satirico, di una lucidità impressionante, con una magistrale interpretazione di Manfredi. Ancor più che nella scena della partita della nazionale, il fulcro del discorso - e della polemica sottile - di Pane e cioccolata sta in quella immediatamente successiva, in cui Manfredi viene condotto alla stazione da un poliziotto e, camminando, strappa un cartellone pubblicitario, rovescia un bidone, palpa una signora: tutto questo giustificandosi con la sua 'italianità': è più forte di lui, va perdonato. Non è solo un film 'contro' l'italiano (o contro i soprusi cui l'italiano è costretto all'estero, dove è identificato con questo stereotipo negativo), è un lavoro che tratta la difficile tematica dell'immigrazione e dell'estraneo, delle condizioni spesso proibitive in cui versano tutti coloro che non sono amalgamati in un contesto sociale. E in questo si deve riconoscere il coraggio dell'opera; il linguaggio è inoltre fine, lieve nonostante i concetti non lo siano affatto: questo è l'altro merito del lavoro di Brusati (un esempio evidente: Manfredi fa il gesto dell'ombrello agli svizzeri quando segna l'Italia, ma si sente solo il rumore). Quasi fondamentale.
Le disavventure di Nino, immigrato italiano in Svizzera: cameriere ligio al dovere, viene espulso per avere fatto pipì all'aperto, ma entra nelle grazie di un miliardario italiano esule per motivi fiscali e riesce a rimanere. Quando il ricco amico, depresso, si suicida, ricomincia il calvario di Nino: visto da vicino quanto riescono ad andare in basso i suoi connazionali all'estero, si tinge i capelli e si finge svizzero, ma riesce a farsi cacciare di nuovo. Sul treno del rimpatrio riceve la notizia che, grazie ad un'amica greca, ha ottenuto un nuovo permesso di sei mesi. Nino parte lo stesso, ma alla prima fermata ci ripensa e scende.
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