Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Voler diventare adulti in fretta, e a tutti i costi, significa perdersi. Come ne I quattrocento colpi di Truffaut, in questo film di Kitano gli adolescenti sono bambini cresciuti che, dismessi i balocchi dell’infanzia, si mettono a giocare con la vita vera. Per i giovani Masaru e Shinji, il pugilato, da sogno di gloria e di guadagno, si trasforma così in una metafora, fin troppo concreta, di un mondo che fa sul serio e non guarda in faccia a nessuno, mentre impone la sua disumana competizione e sferra pugni che fanno veramente male. Gli adulti, che ai tempi della scuola erano innocui avversari per scherzo (come gli insegnanti), si rivelano ora reali nemici, che esercitano un potere autoritario e cinicamente sfruttatore (nell’ambiente della boxe o della yakuza). I ragazzi, anziché ricevere aiuto, si vedono continuamente ostacolati nelle loro aspirazioni: i grandi non li comandano più per il loro bene, ma solo per il proprio profitto; e i giudizi negativi che essi emettono non hanno più alcuno scopo educativo, perché non vogliono essere uno sprone a migliorare, ma solo l’espressione di un rifiuto senza possibilità di appello. Lo spirito ribelle, che nei minorenni è solo un comportamento da correggere, dopo i vent’anni diventa un inequivocabile sintomo di inadeguatezza, che la società punisce con l’emarginazione. Non essere all’altezza significa fallire, nella vita professionale e in quella di relazione, e a poco serve credere in se stessi e sentirsi liberi e creativi. L’inquadramento è contrario alla fremente poesia dell’individualità, che esce continuamente dai contorni con le sue sbavature di insicurezza ed i suoi guizzi di follia. L’assunto principale del cinema di questo autore, in fondo, si può così enunciare: svolgere un ruolo nella storia è altra cosa rispetto a vivere la propria umanità, e il modo in cui gli altri ci guardano, nella schematica scenografia del mondo, è ben diverso dalla percezione, a tratti misteriosamente silenziosa, a tratti drammaticamente urlante, che ognuno ha, momento per momento, della propria condizione esistenziale. Kids Return si inserisce a pieno titolo tra le opere più rappresentative dello stile di Kitano anche in virtù della coloritura tiepida con cui vi è dipinto il disincanto: una tonalità grigia, eppure toccante, ottenuta diluendo il realismo più crudo nel vapore di un’ultima residua illusione, e nelle lacrime, ormai quasi asciutte, di tutte le speranze moribonde.
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