Regia di Denys Arcand vedi scheda film
Come sopravvivere alla crisi di valori dell’impero dominante, alla filosofia del pensiero unico, quando una società si autoalimenta senza più produrre nessuno stimolo al cambiamento? Il film di Denys Arcand realizzato a metà degli anni 80 e capitolo iniziale di una trilogia sull’argomento, cerca di mettere in luce debolezze e criticità di appartenenti a classi sociali colte e benestanti in grado di sopperire alla mancanza di ideali proiettandosi verso una ricerca appagante ed egoistica dei bisogni e dei propri istinti. Usandoli sia come metafora e come espliciti mezzi comunicativi, il sesso, la cura del corpo e del cibo diventano nutrimento intellettuale della classe borghese capace in fondo solo di parlarsi addosso, e di difendersi dal mondo esterno grazie alla propria condizione privilegiata. Da una schiera vastissima di film in cui la contrapposizione di genere attiva analisi più o meno profonde, si potrebbe porre come punto di partenza non tanto la ragnatela dei sentimenti della parola dei registi francesi dell’epoca, e neanche le ironiche auto frustrazioni di Woody Allen, si potrebbe fare invece riferimento a quello snodo anti idealista e disincantato de Il grande freddo di L.Kasdan, in cui vengono accantonati da una generazione intera desideri, sogni e prospettive. Arcand cerca di mettersi un passo avanti, mettendo a fuoco una condizione sociale specifica, la cui peculiarità, e non fosse che per paradosso i protagonisti sono amici che lavorano tutti in università, è quella che la traduzione intellettualistica del vivere li isola dal mondo e dalla loro stessa vita, abbandonandosi ad un facile e gratificante egoismo. Le donne in palestra per mantenere la forma che l’estetica corrente impone si confrontano su avventure e fantasie extraconiugali, e gli uomini che intanto preparano un pranzo elaborato, parlano di sesso, di relazioni più o meno spregiudicate, sfidando fintamente etica e moralità perché protetti dalla capacita di produrre elucubrazioni in grado di giustificare qualsiasi trasgressione non come intimo bisogno della persona, ma come lecita possibilità offerta dalla società consumistica. All’interno del gruppo non mancheranno le piccole variazioni rappresentative ma l’aspetto di fondo è quello di una comunità insensibile, egoista, maschilista. Le donne invece offrono uno spaccato più eterogeneo seppure subalterno al maschio, e l’unica sequenza davvero significativa ed emozionante riguarderà proprio due di loro, non a caso quelle più distanti l’una dall’altra unite inaspettatamente da una forma espressiva diversa dal filo conduttore del film. Il regista per veicolare con precisione lo spettatore verso la conclusione morale del racconto a cui tiene, si compiace fin troppo a lungo della sarcastica rappresentazione che fa dei suoi personaggi, che pur non suscitando nessun tipo di empatia, ottengono con lo scorrere della storia una comprensione che potrebbe venire anche male interpretata facendoli apparire se non positivi, in parte giustificabili, annacquando notevolmente il senso critico generale. Arcand sorvola sulla possibile messa in crisi di qualcuno di loro, privilegiando la lettura leggera, la battuta anche greve che in qualche modo si bilancia sempre con il raggiro della parola, i dialoghi sono brillanti, il ritmo resta sempre gradevole, troppo. Alla luce del compimento della trilogia comprendente Le invasioni barbariche(2003) e del sequel L’età barbarica (2007), Il declino dell’impero americano denuncia lo stesso cinismo superficiale del sequel del 2007, senza nemmeno provare a dare uno scossone allo status quo esistenziale dei personaggi. Farà eccezione il celebrato premio Oscar Le invasioni barbariche, dove” il grande freddo” irromperà facendo un po’ giustizia di quel mondo indifferente.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta