Regia di Lucio Fulci vedi scheda film
“Dopo tutto non esiste forse quella vecchia diceria secondo la quale la violenza che proviene dallo schermo, genera a sua volta violenza nella vita reale?”
E’ lo stesso Lucio Fulci - che per l’occasione è stata considerata la persona più adatta a recitare la parte di… “Lucio Fulci” - a porsi questa domanda più sarcastica che retorica.
“Un gatto nel cervello” è un bizzarro film-collage che racconta l’orrore (dalle ampie sfumature comico-sardoniche) a cui è destinata ad andare incontro la vita di un povero onesto regista horror, impegnato a realizzare, come è suo costume, tra gli studios di Cinecittà, un film dietro l’altro, nel momento in cui la propria psiche, in qualche modo influenzata e compromessa dalla violenza splatter e grandguignolesca dei film stessi.
Una vera e propria pena infinita, che diventa quasi un ossessione che si installa dentro al cervello e si manifesta con un suono stridulo, martellante, ricorrente, simile ai rumori molesti di un gatto che si lamenta all’interno del cranio, affilando le unghie nella materia cerebrale).
Una sensazione decisamente sgradevole, destinata a procurare malesseri devastanti, completi di visioni oniriche e deviate, che costringono il cineasta a ricorrere a lunghe sedute psicanalitiche presso un luminare del settore.
Un gran pasticcio, questo di Fulci, attore peraltro pessimo (lo riferiamo con tutta la simpatia del caso nei confronti del personaggio, che resta comunque un cineasta coraggioso e volitivo, maestro nel riuscire a sbrogliarsi da ogni situazione, anche la più complicata, con una tenacia che ha dell’eroico, e riuscendo a garantirsi una commerciabilità senza frontiere, oltre che ritorni economici inversamente proporzionali agli investimenti impiegati per produrre le opere).
Ma un personaggio, questo di Fulci-che-recita-Fulci, che tuttavia suscita simpatia nel raccontarsi in modo bizzarro e colorito. Il film approfitta furbamente di questo appiglio di sceneggiatura per riciclare tutta una serie di spezzoni di film (tutti piuttosto brutti, se non orribili) per allungare il brodo, secondo un’accozzaglia splatter ove l’ironia certo non manca, così come la trivialità ed il pessimo gusto.
Tra questi possiamo citare i tutt’altro che indimenticabili Il fantasma di Sodoma, Quando Alice ruppe lo specchio, Non aver paura della zia Marta, Luna di sangue.
Anche qui come quasi ovunque nelle opere di Fulci, gli indizi tendono a concentrare la colpevolezza su un elemento – in questo caso il Fulci stesso – salvo poi virare per una soluzione più o meno a sorpresa.
Se non un cult, certo un scult di triviale, grottesca bassa macelleria, all’interno di una fiera degli orrori che cerca nei suoi modi barocchi di calarsi nella realtà di cronaca nera da rotocalco becero ma irresistibile.
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