Regia di Laura Bispuri vedi scheda film
It's a Long Way.
“Il Paradiso del Pavone” (lo spoiler è già nel titolo), terzo film di Laura Bispuri (figlia d’arte romana classe ‘77) dopo una manciata di corti e due lunghi, “Vergine Giurata” e “Figlia Mia”, situato poco di là dagli alberi con vista Tirreno a Marina di Ardea, tra le sabbie trattenute dalle radici delle spinescenti succulenze tomentose della pioniera vegetazione ripariale (che non sarà il finitimo ecosistema litorale delle dune di Capocotta, ma insomma, dai, vi sono sepolcri peggiori), giunto a metà della sua ora e mezza scarsa crolla, letteralmente collassa, precipitevolissimevolmente si schianta, proprio come l’alloctono-domestico fasianide maschio che non sapeva di non saper volare, e quindi non volò (d’altronde i òmen e i pollon hinn i pussee cojon, per dirla in stretto romanesco), dal 2° piano del Villino Tipo A di Adalberto Libera dei primi anni trenta del ventesimo secolo al Lido di Ostia: poteva finire peggio, poteva essere il suo “Matrimoni e Altri Disastri” (a proposito di Nina Di Majo, un’altra figlia d’arte, di lei in tutta sincerità aspetto ancora “Primavera” e “l’Estate” per completare la tetralogia dell’anno tropico-siderale), perché se nella prima metà, quindi per tre quarti d’ora, riesce a promanare un’invidiabile armonia, quando poi prova a fare - come per l’appunto il Pavo cristatus fuori dalla sua comfort zone - quello che non sa fare, ecco che anche la messa in scena della regista e co-sceneggiatrice con la “neo”-diplomata (da più di un lustro) al Centro Sperimentale e semi-esordiente Silvana Tamma (suo è il soggetto originale di partenza) s’ingrippa, s’ingolfa e s’inceppa (non scegliendo il ciak giusto fra quelli girati o, molto più probabilmente, non sapendo/volendo pronunciare, rivolgendosi al pur ottimo cast, le magiche paroline fatate, sempre siano lodate, “Dai che ne facciamo un’altra!”), ma questo (e la breve durata non penso abbia inciso sulla pretenziosa sinotticità didascalico-retorica di certe battute dei dialoghi) non è sufficiente ad affossare il film, che mantiene una sua ulcerosa e urticante grazia.
Il suddetto ed eterogeneo cast, galliforme a parte, è costituito da Dominique Sanda (Bertolucci, Bresson, Visconti, De Sica, Bolognini, Bechis), Maddalena Crippa (Strehler, Rosi, Stein), Carlo Cerciello (il Teatro Elicantropo di Napoli), Alba Rohrwacher (protagonista anche di “Vergine Giurata” e “Figlia Mia”, e che qui rasenta spesso, ma scientemente, il ridicolo, abitandolo in pieno, senz’alcun pudore o vergogna, e restituendolo fedele alle cose così come stanno), Maya Sansa (“la Balia”, “la Meglio Gioventù”, “Buongiorno, Notte”, “il Primo Uomo”, “Bella Addormentata”), Leonardo Lidi (“l’Incredibile Storia de l’Isola delle Rose”), Fabrizio Ferracane (“Anime Nere”, “l’Ordine delle Cose”, “il Traditore”, “la Terra dei Figli”, “AriaFerma”, “Leonora Addio”, “the Bad Guy”), Tihana Lazovic (“Zvizdan”, “il Ritorno”), Yile Yara Vianello (dopo “Corpo Celeste” un decennio di scolarizzazione media, superiore ed universitaria, e poi “Semina il Vento”, “la Chimera”, “la Bella Estate”, “il Vento Soffia Dove Vuole” e “l’Anno dell’Uovo”, e qui, come sempre, sempre presente al momento, all’attimo, al flusso e al qui ed ora in maniera francamente impressionante: bravissima), Ludovica Alvazzi Del Frate (esordiente semi-assoluta, molto brava, qui detta Sentenza: e anche lei pro-pro-nipote d’arte?) e Carolina Michelangeli (esordiente assoluta, molto brava, che intona diegeticamente “Malarazza” di Domenico Modugno, per poi essere sovraincisa in extradiegesi dalle musiche a contro-commento, e che ritroveremo in “Come Pecore in Mezzo ai Lupi”).
Fotografia volutamente straniante (sembra un film italiano, sì, ma di metà anni ‘80), ipernaturalistica perché fintamente amatoriale, di Vladan Radovic (già con Bispuri tanto in “Vergine Giurata” quanto in “Figlia Mia”, e poi, prima e dopo, Saimir, il Resto della Notte, Sonetàula, Tutti i Santi Giorni, Smetto Quando Voglio - la Trilogia, Anime Nere, la Felicità è un Sistema Complesso, la Pazza Gioia, Troppa Grazia, Notti Magiche, il Traditore, Romulus, la Legge di Lidia Poët), montaggio di Jacopo Quadri e Carlotta Cristiani e musiche di Nando Di Cosimo (anch’egli sodale collaboratore di Bispuri), più questo Caetano Veloso qua…
“Il Paradiso del Pavone” - un “Parenti Serpenti” con uno schianto, ma addomesticato, senza botto (vale a dire, ovviamente, senza Mario Monicelli) - è soprattutto un film di traiettorie di sguardi.
* * * ¼/½ – 6.75, ovvero primi 45’ da ***¾-**** e secondi 45’ da **¾-***.
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