Regia di Yvan Attal vedi scheda film
Le cose umane sono gli eventi inspiegabili e incircoscrivibili in una singola chiave di lettura. Nella fattispecie, un caso di stupro: per lui il reato non sussiste, lei non ha detto NO, l’ha seguito nello sgabuzzino, non ha mai urlato; per lei il trauma l’ha divorata ferocemente, lui aveva un coltello nel giubbotto, l’ha fatta bere e sniffare, le ha detto oscenità aggressive durante l’atto. La sfida di Attal è l’imparzialità, prova ad assumere la posizione che una giuria in tribunale dovrebbe assumere idealmente di fronte a un caso che coinvolge dilemmi sociali e dibattiti del momento. Puntando sulla differenza fra tribunale social e tribunale giudiziario (raccontandolo - non c’è mai traduzione estetica degli argomenti), il film tocca nervi scoperti senza salire su nessuno dei due carri, portando in primo piano insanabili contraddizioni e dimostrando che, al netto dei giudizi generici dell’opinione pubblica, non c’è una condanna singola che possa davvero essere emblema, che ogni caso è diverso da un altro, e che però l’aggressività maschile e la prevaricazione sono spesso valutate espressioni naturali della sessualità - talvolta, per le donne, anche fonte di eccitazione. Un film più da discutere che non da guardare, vittima della sua generale piattezza estetica, forse cerchiobottista per comodità più che per lucidità.
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