Regia di Yvan Attal vedi scheda film
TRIBU’ CIVILI----Quello che è avvenuto dietro una porta chiusa fra il presunto stupratore e la presunta vittima allo spettatore non è consentito vederlo. Lo può immaginare basandosi sull’espressione dei volti, sul passo esitante della ragazza ma stabilire la colpevolezza o l’innocenza dell’accusato, Alexandre il colto studente di Stanford, è davvero ciò che preme ad Attal? La giuria deve emanare un verdetto ma non è compito del cinema emettere sentenze quanto piuttosto far riflettere sulla problematicità delle “cose umane” ( cosi recita il titolo originale). Dice al processo l’avvocato di Alexandre nell’arringa conclusiva: “ Non c’è una verità, ma due percezioni diversa della realtà” : il punto che la pellicola intende mettere a fuoco, con qualche schematismo, è precisamente questo. Maschio e femmina vivono la sessualità in maniera opposta: ciò che per l’uno è piacere, per l’altra è umiliazione, fastidio, quando non addirittura sopraffazione. Ciò che l’uomo cerca nell’eros non coincide quasi mai con ciò che cerca la donna: non se ne parla molto, ma letteratura, cinema contemporanei e infine pornografia in genere ci hanno abituato a pensare che il sesso sia un atto ove i due attori hanno il medesimo obiettivo. L’amplesso non necessariamente implica la violenza dello stupro: l’apparente consenso può celare un dolore celato, un non detto per vergogna di sentirsi inadeguati. Non è un caso che Alexandre l’accusato appartenga alla borghesia parigina colta, e Mila la timida liceale stuprata sia stata educato dalla madre, piccolo borghese, all’ortodossia religiosa ebraica: la cultura e il privilegio di classe finiscono con l’assecondare e liberare l’inclinazione antropologica. Significativa la citazione durante il processo del romanzo di Bataille “ Mia madre” tenuto sul comodino dall’imputato: nel libro lo scrittore racconta il baratro della perversione sessuale a cui lo trascina la madre. Il film ha il merito di porre a tema il conflitto, forse irrisolvibile, pur non concentrandosi sempre sull’essenziale. E soprattutto resta l’atto d’accusa ( chissà se davvero consapevole?) nei confronti delle mancanze di una formazione, rivolta all’élite intellettuale, impotente a rimuovere l’homo sapiens-sapiens da una civiltà tribale. Eppure basterebbe ascoltare le voci di una sensibilità “altra”, come quella della poetessa Saffo, vissuta fra il VII e il VI secolo a. C.: il godimento è ciò che la memoria trattiene, un passo lieve, un raggio di luce improvviso su un volto, e corone di viole e di rose sui capelli …
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